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=== L'invenzione di Morel === di '''Francesco Savio''' Il Parastato italiano scopre il decadentismo. Il fatto è tanto lieto e clamoroso che, potendone io dar conto per il primo, m'affretto ad avvalermi di questo privilegio. Dall'ltalnoleggio è uscito stavolta un film esangue e neoplatonico, tutto giocato sul piacere intellettuale, sul gusto insulare e raro della circolarità delle immagini. Il cinema è una sola immensa bobina che, montata ad anello e proiettata sempiternamente, ripete all'infinito se medesima. Un po' alla volta, ecco, l'anima infusa in quelle immagini surretizie comincia a fuggirne, a morire, mentre l'assurda giostra dei fantasmi continua a proiettarsi, oramai sterile, su uno spazio (...) dal tempo ma intatto ed intangibile. Per rompere l'incantesimo, il protagonista dell'Invenzione di Morel ( opera prima del regista Emidio Greco, dall'omonimo romanzo di Bioy Casares insigne sodale di Borges) manda in frantumi il complicato meccanismo che, ad insaputa degl'interessati, ha fissato memorizzato per sempre, nel lontano 1929, la vacanza di gruppo di amici, convenuti nell'isola di Morel per tracorrervi una settimana d'ozio e di svago. Sull'isola Morel ha edificato una villa-museo, dove l'arte e il razionalismo si disputano le ceneri di un gusto, già co dificato da Mallet-Stevens. E' un ambiente gelido che fa pensare al Mabuse di Lang e all'Argent di L'Herbier: marmi verdi e seggioline funzionali, grandi lampadari saturnini ed ampie superfici convesse in vetrocemento - levigato e sinistro reperto di un'epoca viziosa, presaga e insieme ignara della crisi che sta per annientarla. Nei sotterranei della costruzione c'è, appunto, il macchinario di Morel: grazie al quale, e secondo le maree, i fantasmi dei giovani gaudenti, dissipati e fitzgeraldiani, rinnovano in perpetuo gli atti le parole i comportamenti di quella settimana (allo spirar della quale, gl'involontari protagonisti dell'esperimento erano tornati in patria per morirvi, svuotati e disseccati dal perfido congegno che aveva catturato il simulacro delle loro sembianze). Adesso - 1974 - un naufrago, forse un perseguitato politico, approda casualmente all'isola. Vaga per gli ambulacri della villa, si familiarizza a grado a grado con quegli strani dandies che lo guardano senza vederlo, scopre infine il segreto di Morel: Morel che, per amore di Faustine, sognò un giorno di vincere il Tempo consegnandosi ad esso con lei. Anche il naufrago s'infatua di Faustine; ma Faustine, ma gli amici di Morel non hanno anima, "vivono" fuori della storia e della consapevolezza di sé: bisogna dunque distruggerne il seme perverso, esorcizzare i lemuri, metter fine a uno spettacolo illusivo per tornare ad esprimere, col cinema, lo spettacolo illusivo per tornare ad esprimere, col cinema, lo spettacolo in quanto verità. Addio alle voci dei cantanti "crooner" diffuse dai vecchi grammofoni, addio alle danze intorno la piscina sotto la luce dorata dell'obliquo crepuscolo o la tepida pioggia autunnale, addio alle cene in vestito da sera, alla blanda lettura delle riviste, addio alle passeggiate nel vento, a picco sul mare venato di rèfole. Greco resuscita ed evoca i suoi magici Finzi-Contini con un sentimento d'ambigua ripulsa, d'ambigua tenerezza. Quel '29 non era poi tanto male, anzi era dannatamente affascinante, tra la fredda geometria delle sue architetture e il morbido tepore dei suoi figurini di moda, quei gilé, quelle gonne, quei foulards. Quell'essere "belli e dannati", ma in abito da tennis: come silhouettes in controluce. Attente panoramiche, fondues, perfino dissolvenze incrociate: la compagine linguistica è antiquata, si tratta invece di una scelta rigorosa. Certo !.:'invenzione di Morel non sarebbe pensabile senza il Resnais di Marienbad. Ciò che infatti è più commovente, in questo film-oggetto, è l'assoluta mancanza di commozione (e peccato che Giulio Brogi - il naufrago - ceda qua e là alle lusinghe del naturalismo). Dalle inquadrature si sprigiona un acre sentore di celluloide, anche le scenografie hanno l'impropria eloquenza del cinema muto, quando si parlava - o si sparlava - di "materiale plastico". Duri, esatti nei loro contorni, i soprammobili gli arredi i paralumi corroborano il teorema di Bioy Casares con opaca e inflessibile iattanza. Nella loro scontrosa concretezza gli spessori, autentici e "riprodotti", non sono poi tanto diversi gli uni dagli altri. Per cui la dimensione immaginaria prevarica quella reale, ad onta della resistenza che, alla prima, oppongono le cose. Sulle quali la polvere degli anni depone un velo tenue, che subito svanisce a contatto con gl'inganni del verosimile: agli ectoplasmi non bisognano piumini. In un debutto così patinato e ambizioso non si vorrebbero, né smagliature, né scadimenti. Ottimo quand'è ripreso a distanza, il gruppo degli amici di Morel non ci guadagna ad essere visto da vicino. Piccole incertezze, marginali goffaggini bastano a far precipitare dal loro astratto e peculiare basamento queste statue pigramente immortali. Come appunto in Marienbad, non esistono qui generici e comparse, ma alte presenze oniriche, emblemi di un tempo perduto, ritrovato, perduto. A suo agio con le nature morte, Greco non lo è altrettanto con gli intepreti, specie quelli di contorno. Del resto l'imbarazzo è, a ben guardare, una delle componenti dello snobismo. Non si dà vero snobismo senza le remore, le ritrosie, le insofferenze della timidezza. A meno che, questo dell'incerto dominio sugli attori, sia lo scotto pagato dal regista a una naturale acerbità. Come una tunica grave e leggera, dai preordinati panneggi, il film riveste d'una forma composta e distesa (si veda per esempio il bell'inizio, con l'a solo del naufrago) lo specioso pretesto narrativo offerto dal racconto avveneristico dello scrittore argentino. Si può non restare coinvolti dal risultato un po' algido. Ma il termometro delle emozioni estetiche ha a vedere con la scelta Fahrenheit?<ref>Il mondo, 28 marzo 1974</ref>
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