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=== La virtù del gorilla === di '''Gianni Celati''' <ref>in Rinascita n.32, 9 agosto 1974, p.28</ref>In un opuscolo intitolato Visita del Gorilla Quadrumano (teatro di stalla), un gruppo di studenti dell'Università di Bologna, organizzato da Giuliano Scabia, spiega la sua attività cominciata nel mese di maggio sulle montagne del reggiano, in paesi minuscoli come Ramiseto Busana, Ligonchio, Villaminozzo, ecc. «Abbiamo scoperto che da queste parti, fino a una trentina di anni fa, si facevano delle recite, che sono state definite (dai vecchi contadini che ce le hanno raccontate) rime e farse; queste recite si facevano durante il periodo di carnevale nelle stalle, dove i contadini passavano le serate d'inverno. Due fatti, come studenti che si occupano di teatro, ci hanno soprattutto colpiti: il modo in cui, col pretesto del teatro, questi contadini (che per alcuni di noi sono poi i nonni e bisnonni) stavano insieme; e come facevano "cultura" in modo autonomo, coi propri mezzi, anche molto poveri». Il ritrovamento di alcuni testi di teatro di stalla, compiuto dallo studente Remo Melloni, è all'origine dell'attività di questo gruppo: « Fra essi ne abbiamo scelto uno, per rappresentarlo: si chiama Il Gorilla Quadrumano, ovvero "un simmion alto e feroce", che fa tante cose e che è davvero straordinario: a volte è una scimmia, a volte un uomo, a volte è come un mago». In breve è la storia del re del Portogallo che per adornare il suo giardino di tutte le meraviglie manda i servitori Salam e Codghin a cercare il gorilla; poi lo chiude in gabbia e gli insegna a parlare e ragionare come un umano. Ma alla fine si scopre che questo gorilla è il personaggio più umano di tutti, perché punisce i vizi dei cortigiani, agisce, come nelle fiabe, da aiutante magico dell'eroe e fa finire lietamente la commedia. Nei tratti sommari direi che questa vicenda ha grandi analogie con un'altra rievocazione folklorica del mito del bestione, quella del film King Kong. Solo che pare che la civiltà americana non potesse permettersi un patto d'amicizia col bestione, e così il film finisce tragicamente; mentre qui la civiltà contadina concepisce il bestione come mediatore tra il desiderio umano e la necessità di natura, ovvero tra la società e il suo fondo originario. Questo motivo folkloristico, estremamente diffuso, ha tante interpretazioni quante sono le situazioni in cui viene ripreso; e per esempio, a parte Vico, anche Kafka lo rievoca paradossalmente nella storia d'un gorilla educato nella società degli uomini e trasformato in un accademico. Ma l'importanza di questo motivo, e la ragione per cui sto a parlarne, viene dal fatto che sempre quando è rievocato mette in gioco il giudizio della società sul suo passato, sulle possibilità o meno d'un accordo tra la socialità presente del gruppo e le sue radici originarie. E infatti viene rievocato ogni volta che c'è da riproporre il problema della socialità: per esempio da Rousseau, che trasforma il bestione in bambino secondo un processo noto ai mitologi, per cui il posto libero lasciato dall'antico gigante o bestione è occupato dal bambino, metafora moderna d'ogni vitalità creativa. Perché il bestione comporta questo discorso sulla socialità presente, che si può verificare solo attraverso l'identificazione del gruppo nel suo linguaggio originario. Ci si chiede ora che senso abbia riprendere e diffondere questa metafora, che è anche un po' l'emblema di questo teatro riscoperto, e del suo ruolo simbolico all'interno della civiltà contadina. Prima di tutto c'è da dire che la recitazione adottata da questo gruppo di studenti è estremamente semplice; quasi si tratta d'una lettura appena mossa da qualche tic comico inventato per ognuno dei personaggi. In sostanza non è una recitazione teatrale vera e propria, ma come la dimostrazione in piazza delle possibilità d'uso d'uno strumento: lo strumento è un testo elementare come Il Gorilla Quadrumano, e la dimostrazione è che questo strumento lo possono usare tutti, non c'è bisogno d'essere divi delle scene o controdivi dell'avanguardia. Di qui discende il risultato o la prima virtù del Gorilla, e di questo tipo di pratica teatrale: le attese spettacolari sono riportate ad un livello minimo, e perciò del tutto soddisfatte. In altre parole la gente ride, si dimena, commenta di rimando agli attori come fa al ciarlatano sulla pubblica piazza, c'è una specie di decongestione generale, di scioglimento dei reciproci riserbi che sfocia nella festa. Ora la socialità si verifica soprattutto nella festa, e perciò nella comicità: nella festa che segna le alternanze tra lavoro e non lavoro, e prima ancora l'alternanza stagionale e di regime economico, come il carnevale. E' dunque implicito in questo programma teatrale di puntare alla socialità, usando lo spettacolo come pretesto per fare una festa. (...) Gorilla, direi che la sua ipotesi va in questo senso, e non verso la riattivazione di fantasmi popolareschi evocati da vecchi testi del teatro di stalla. Ma poi bisogna distinguere i fantasmi dalle metafore sociali. E quella del gorilla o del bestione mi sembra la metafora più giusta per indicare questo orientamento. Perché qui si cercano i modi elementari della comunicazione in gruppo sociale; e chi lo fa sono degli studenti che sembrano aver capito che queste cose non si imparano nelle aule, macinandosi nella testa le parole dei libri, o in raffinati teatrini di élite, fingendo di andar nei matti. È il senso di questo diverso studio che voglio dire, se studio è ancora la parola giusta. I bestioni di Vico e i bambini di Rousseau parlano una stralingua, una lingua che precederebbe tutte le altre nel senso che sarebbe il fondamento che traspare attraverso tutte le altre. I linguisti dicono che questo è un errore ideologico, e col funzionamento delle lingue vere non centra niente. Ma a parte ciò, non è forse la metafora della comunicazione sociale elementare, la metafora o l'utopia d'una virtù comunicativa che passa attraverso le separazioni di codici dei gruppi? Non per nulla, come dicevo, questo mito salta fuori ogni volta che si rimette in questione il problema della socialità. La scelta del testo del Gorilla non viene per caso. Qui chiaramente il Gorilla è il «villano», chiamato esplicitamente nel testo «l'animal uomo selvatico », che è poi l'uomo selvatico degli antichi carnevali. La sua lingua d'elezione, e la lingua propria di chi ha composto e recitava questa commedia nelle stalle, è la lingua «snaturale» di Ruzante: un modo di parlare che qui resta un po' nei dialoghi di Salam e Codghin, ma che spunta tra le pieghe del testo, attraverso le rime e attraverso un italiano usato come lingua estranea, da parte di chi soffre d'un disadattamento all'italiano. La stralingua dei bestioni come lo «snaturale » di Ruzante non è una lingua in sé, ma il sintomo d'un disadattamento e il sogno d'una comunicazione che riesca ad esprimere i desideri degli uomini anche attraverso questo disadattamento alla lingua. Ed ecco il nodo politico di questa metafora e di questa operazione, per quanto ho imparato io. Se il linguaggio politico è, o dovrebbe essere, il veicolo delle necessità e dei desideri delle varie classi sociali, si fa presto a capire che queste necessità e desideri di solito debbano passare per un gergo standardizzato, attraverso linguaggi che non sono loro propri, come l'italiano burocratico letterario o trattatistico, o come la lingua che questo Gorilla deve imparare quando è messo in gabbia. Ma se necessità e desideri sono il discorso culturale per eccellenza, allora bisogna ammettere che esistano tante varietà regionali del discorso politico, dell'espressione di necessità e desiderio, quanti sono i dialetti, le parlate, i gerghi, le culture e i linguaggi originari delle diverse culture. E facendo la professione di studenti, cos'altro c'è da studiare oggi? I grandi sistemi di pensiero in questo non ci aiutano più. Il disadattamento all'italiano è un disadattamento alla società burocratica, cartacea, verbodelirante dove i medici molieriani sono diventati i guardiani del lager, e i cui figli sono educati fin dalla prima infanzia allo stesso vaneggiamento, che poi diventa simbolo d'uno stato sociale ambitissimo da tutti. Perciò benvenute queste visite del Gorilla che saltando oltre la persuasione verbale, ci danno l'idea che esistano gesti, modi specifici con cui una cultura locale esprime le proprie esigenze, ci riconducono ad altre cose che non sono il discorso generale sul mondo ma fatti invisibili a chi pensa sempre al discorso generale sul mondo: come ci si saluta, si fa ridere, si celebrano le feste, le mosse del consenso e del dissenso, il pudore della parola e la gioia dell'espressione, all'interno dei vari gruppi. Ci riconducono insomma al discorso sulla varietà sterminata dei linguaggi politici, e ancor di più, alle grandi metafore o significati profondi che le culture agitano e attraverso cui esprimono i loro desideri. Questa indicazione, che è la vera virtù del Gorilla, è qualcosa su cui vale la pena di riflettere, tra i tanti vaneggiamenti bislacchi con cui ogni giorno simuliamo la cosiddetta intelligenza.
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