1997

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Enti promotori[modifica | modifica sorgente]

Comune di Bellaria Igea Marina, Assessorato alla Cultura, Archivio del cinema indipendente italiano, con il contributo di: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Spettacolo Regione Emilia Romagna, Provincia di Rimini.

Direzione[modifica | modifica sorgente]

Locandina disegnata da Mario Schifano
Locandina Anteprima per il cinema indipendente italiano, 1997
  • Direzione artistica: Antonio Costa, Enrico Ghezzi, Morando Morandini, Roberto Silvestri
  • Direzione organizzativa: Gianfranco Miro Gori
  • Segreteria: Anna Gradara, Paola Gori, Antonio Tolo
  • Ufficio stampa: Marzia Milanesi
  • Amministrazione e servizi tecnici: Saverio Gori
  • Impaginazione cataloghi: Antonio Tolo, Catia Donini
  • Hanno collaborato: Catia Donini, Paola Gradara, Paolo Pagliarani, Mirko Ricci, Marco Tomasin

Presentazione[modifica | modifica sorgente]

Di Mara Garattoni, Assessore alla Cultura.

In questi anni si è osservata la nascita di festival del cinema indipendente in diverse regioni d'Italia, quasi si trattasse di una tendenza forse della ordinaria necessità di contenere la spesa, mentre nel 1983, quando Anteprima ha preso l'avvio, poche erano le rassegne che si occupavano di questo segmento di cinema. Oggi la manifestazione bellariese ha raggiunto una sua fisionomia e un ruolo significativo nel contesto nazionale. A Bellaria hanno presentato le loro opere prime giovani autori che ora sono affermati registi: Soldini, Segre, Lodoli, Ciprì e Maresco, Rezza... e ciò conferma la qualità del lavoro svolto. Fra gli obiettivi che Anteprima ha perseguito, due vanno particolarmente evidenziati: l'occasione di incontro fra giovani filmakers che hanno potuto disporre di una vetrina per le loro opere; e l'opportunità di confrontarsi con i maestri del nostro cinema e con i loro film d'esordio. Si pensi ai "compleanni" di Prima della rivoluzione di Bertolucci, de / pugni in tasca di Bellocchio, de La battaglia di Algeri di Pontecorvo, dei Sovversivi di Paolo e Vittorio Taviani nella presente edizione. Le retrospettive hanno proposto percorsi di lettura e spunti di ricerca attraverso libere rivisitazioni della cinematografia italiana e internazionale, al fine di indagare differenti orizzonti di conoscenza, e di aprirsi ad un confronto sul piano estetico, sul piano semantico e oltre. Quest'anno è la volta del cinema del 1967, l'anno di Blow up, La Cina è vicina, Lontano dal Vietnam... E' l'anno in cui si afferma il bisogno di sperimentare forme di arte e di vita libere dagli schemi della tradizione; con questa retrospettiva si intende suggerire uno sguardo problematico, magari anche perplesso sulle opere del primo underground italiano, esente da intenti nostalgici e celebrativi. Anteprima ha cercato di avviare un rapporto dialettico, talora critico, ironico o curioso con il passato, senza perdere di vista le espressioni del presente. Si tratta ora di aprire prospettive nuove per rafforzare i risultati raggiunti e per maturare il ruolo significativo riconosciuto alla nostra rassegna nel panorama del cinema indipendente. Si può ipotizzare che Anteprima, oltre che fornire la visibilità alle opere prime dei giovani registi, possa divenire un punto di riferimento anche di mercato per il cinema indipendente? E' plausibile immaginare un'opportunità di produzione e commercializzazione per gli autori? La formazione, lo studio, la sperimentazione possono sostanziare la valenza culturale d un festival? Probabilmente sì, se questo non si esaurisce con l'evento, con la vetrina, ma vengano avviate relazioni fra più soggetti: autori, Università, Archivio del cinema indipendente, associazioni impegnate nella promozione della cultura cinematografica. Il patrimonio culturale di Anteprima oggi necessita di un rafforzamento finanziario ed organizzativo per diversificare gli ambiti della ricerca, per sostenere esperienze, favorire contaminazioni con quei mondi che si raccordano intrinsecamente col cinema quali la musica, la narrativa, l'indagine sociale o antropologica, ma anche con i luoghi dell'arte e della poesia. Occorre allora approfondire la riflessione per animare un circuito di idee, di competenze, di esperienze che stimolano la tensione ideale, il coraggio artistico, la creatività dei giovani autori restituendo al cinema le sue straordinarie potenzialità espressive talvolta mortificate da un appiattimento diffuso e spesso povero di pensiero. Qualunque rielaborazione di progetto e di programma deve tuttavia individuare come proprio punto di forza il cinema indipendente, elemento qualificante di Anteprima, in una prospettiva che sappia coniugare le potenzialità positive del cambiamento con il senso della propria esperienza.

Analisi di un disincanto[modifica | modifica sorgente]

Di Morando Morandini.

Agli inizi degli anni Ottanta, quando si cominciò, eravamo soli. Riempire un vuoto, s'usa dire. Avevamo trovato/inventato uno spazio -soltanto una vetrina? - per il cinema indipendente. Lo sapevamo che la locuzione era approssimativa, incompleta, imprecisa (e il video?), ma in quindici anni non si è riusciti a trovarne un'altra. Negli anni Novanta siamo in tanti, su e giù per la penisola, ad arare lo stesso campo, e ci facciamo concorrenza. È un buon segno. Pur avendo i suoi inconvenienti, la concorrenza stimola. Impedisce di ripetersi, sedersi, adagiarsi, addormentarsi. Circostanza ancor più importante, la concorrenza indica la presenza crescente di un fenomeno, lo sviluppo di un'attività produttiva, se non un mercato, su un arco di artigianato che è più ampio e ha più sfumature di quel che si crede: si va dal dilettantismo più privato al lavoro collettivo, dalla libertà più anarchica (almeno a livello potenziale) alle committenze pubbliche di enti locali. Pur tralasciando le iniziative analoghe alla nostra, basta vedere quante sono le rassegne di “corti”. Il ritorno al cortometraggio di 35mm è un fenomeno interessante degli anni Novanta che non è stato ancora analizzato come merita anche perché - distaccandosi da una tradizione nefasta 0, comunque, riduttiva del cinema italiano, e delle leggi che l'hanno regolato - non ci si limita più al documentario, ma ci si cimenta con la “fiction” o con formule ibride. Passiamo alle cifre. Nel 1993 le opere - 0, come scherzosamente diciamo noia Bellaria, i "pezzi" - presentate per l'ammissione al concorso furono 220. Nel 1994, quando finalmente dall'ultima decade di agosto Anteprima si spostò all'inizio di giugno, il numero calò a una cifra di poco superiore alle 150. Era inevitabile: i filmakers, almeno quelli abituali, avevano avuto meno tempo per approntare i loro nuovi lavori. Nel 1996si arrivò a 202 “pezzi”. Quest'anno c'è stato un improvviso aumento sopra i 270 per un totale di circa 85. Il che corrisponde a una durata media di 15 minuti. Se si tiene conto che per il concorso i selezionatori avevano a disposizione circa dodici ore (“Anche meno, se vi riesce", ci dicevano quelli della direzione tecnica) si vede che il rapporto è di uno a sette. Quello della scelta non è un lavoro facile, direbbe il signor di La Palisse. Anche quest'anno, giunta alla 15° edizione, Anteprima propone quella che per abitudine e convenzione s'usa chiamare la cornice, e che negli ultimi anni ha rischiato di prevaricare sul quadro, cioè sul concorso, per l'attenzione - e i titoli - che le hanno dedicato i mass-media. Il che, non a torto, ha sollevato proteste, mugugni e lamentele degli autori in lizza per i due Gabbiani. Oltre ai film del premio Casa Rossa (che non è ancora, ma potrebbe diventarlo, il vero premio, il più ambito, per il cinema indipendente italiano nell'ambito dei lungometraggi su pellicola indirizzati a quel mercato delle sale dove spesso, invece, non riescono a penetrare) e ai video di 150 secondi del concorso a tema fisso (Un bel Po, tema di attualità una volta tanto), c'è la consueta "festa di compleanno" che, inaugurata nel 1994 con Prima della rivoluzione, tocca questa volta a Sovversivi a trent'anni dalla realizzazione. I festeggiati saranno i fratelli Paolo e Vittorio Taviani e i loro collaboratori. C'è la retrospettiva che quest'anno ha assorbito la sezione di mezzanotte, intitolata L'anno prima, inteso come il 1967. Con un pizzico di malignità nel suo giuoco d'anticipo, la rassegna intende aprire la strada quelle celebrazioni del Sessantotto che l'anno prossimo saranno organizzate da altri festival, ma soprattutto offrire piaceri, emozioni, occasioni di riflessione e di studio al pubblico di Anteprima, in modo particolare ai giovani filmakers, in concorso e non, che, invece, in passato non l'hanno frequentata come dovevano e potevano. È lo si vede dai film che fanno, aggiungerebbe un maligno. È giusto e necessario e inevitabile voltar pagina, ma non prima di averla letta e capita. C'è da dire, infatti, che durante il cosi lavoro di selezione vengono, complice la Stanchezza, i momenti di sconforto per la pochezza del materiale che arriva a Bellaria. In quei momenti ci si domanda: ma vanno al cinema? che film vedono? quali i loro registi preferiti? che libri leggono? che idee di cinema hanno in testa? come e da chi hanno imparato? In selezione si passa dai balbettii cine(video)amatoriali del più bieco minimalismo provinciale alle più dissennate velleità di globali metafore metafisiche. (Perla cronaca: i primi provengono soprattutto dal Nord, le seconde dal Sud). Emergono allo stato larvale i peggiori vizi del sedicente cinema d'autore che da vent'anni ha vivacchiato sul parassitismo sovvenzionato dell'articolo 28 e che tanto ha contribuito ad allontanare dalla produzione nazionale il pubblico delle sale. Senza impancarci a sociologi improvvisati della domenica, viene a galla un altro dato interessante e preoccupante, vista la giova- ne età media dei videomakers aspiranti al concorso: un diffuso disagio giovanile, un malessere che talvolta ha, in modo più o meno esplicito, concrete ragioni sociali (disoccupazione, difficoltà di trovare un posto, disaffezione e svogliatezza per lavori alienanti, umilianti e mal retribuiti), ma che più spesso ha ragioni esistenziali e ristagna in un disincanto, vicino alla depressione se non alla disperazione. Importa poco in questa sede stabilire in che misura questo malessere sia espresso in modi efficaci e con mezzi adeguati, senza ridursi a un compiaciuto “piangersi addosso" che, d'altronde, si riscontra anche in altri settori: è il rispecchiamento di una generazione, di una società, di un paese.

Concorso anteprima[modifica | modifica sorgente]

Premio Casa Rossa[modifica | modifica sorgente]

150 secondi a tema fisso (Un bel Po)[modifica | modifica sorgente]

Video in Concorso

  • Profumo di Yuri Ancarani
  • Creazion di Vito José Arena
  • Chico de puta di Cristina Bernardi
  • Esesà, esesà motrate mja (Nera, nera, sorella mia) di Cristina Bernardi
  • Un po' di qua un po' di là di Andrea Busi
  • Anche l'odiens è una questione d'onore di Alex De Luigi, Lorenzo Pecchioni
  • Secondo piano di Ruggero Di Paola
  • Fiumi di parole di Maurizio Failla
  • Briosch di Giorgio Fipaldini, Giulio Innocenti
  • Senza foce di Stefano Franceschetti, Cristiano Carloni
  • Oltre il fiume di Stefano Giovagnoni
  • Un bel po' ad caloig di Ivano Gobbi
  • Porciepolli di Ivano Gobbi
  • Un bel po di Giuliana Landoni
  • Na mna side di Monia Lippi, Monica Petracci
  • Un bel Po di Mainposa
  • Il caffè di Andrea Minoglio
  • Buio Omega 2 di Graziano Misuraca
  • Cocatime di Luciano Monti
  • Horror vacui di Luciano Monti
  • Grr di Domenico Murdaca
  • Il mattone di Antonio Nardelli
  • Lo spiritoso di Luca Olivieri
  • Ho “un bel po" e di Massimiliano Ottaviani
  • N.B.D.D.R. Nel blu dipinto di rosso di Andrea Pellizzer
  • Appunti sul Po per una possibile Medea di Sergio Porro
  • Un bel po di Giovanni Raggi
  • Capodanno sul delta di Giovanni Rubino
  • Questione di scala di Dario Soldo
  • Il brufolo di Edo Tagliavini
  • L'io di Veronica Tanzi
  • Ave verum corpus di Sandro Vasini

Arti e Mestieri[modifica | modifica sorgente]

C'è poco da ridere[modifica | modifica sorgente]

Memorie e desideri (del cinema)[modifica | modifica sorgente]

Caro Camillo di Luigi Simeone

Direttive dall'alto di Marcello Gori

Doom di Marco Pozzi

I frutti puri impazziscono di Marco Bertozzi

L'homme cinéma (L'uomo cinema) di Alessandro Carpentieri

Non sono partigiano del “non importa cosa, non importa come..." Henri Alekan, cineasta di Alessandro Barbadoro, Romano Guelfi

Parto di Rosario Compare

La professione e l'uomo di Francesco Bettin

R.S.V.P. (repondez s'il vous plaît) di Stefano Argentero, Rita Ghilardi, Maria Cristina Costa

Salaam cinema! di Andrea Calvo, Umberto Trichero

Una volta. Wim Wenders, le tracce dello sguardo di Giovanni Bogani

1967 L'anno prima[modifica | modifica sorgente]

Il cinema sperimentale e industriale, l'emerso e il sommerso, del 1967. Anteprima cinema presenta una selezione parziale di questi film, realizzati allora, in ogni parte del mondo. 1967, un anno davvero particolare, non ancora vissuto pericolosamente. L'anno prima del '68. Eppure Jerry Rubin e Wilhelm Reich già sono stati tradotti da noi. E' il momento, in Italia, delle discussioni accanite tra i fans di Bella di giorno e di Blow up, tra quelli che rischiano il gioco al massacro della perversione estrema, della ‘personalità multipla dentro se stessi", o che giocano ancora con le perversioni cerebrali e il riequilibrio del soggetto, dell'lo scisso. 1967, è anche l'anno della nascita della Cooperativa Cinema Indipendente, affiliata al New American Cinema, disgustata dai modi di produzione industriali e affascinata dal progetto, narcisistico e politico, di rovesciare gli artisti dal piedistallo e scaraventare l'arte, situazionisticamente, nella vita dietro allo slogan: ‘siamo tutti tutti artisti’. 1967, l'anno della comparsa di La presa del potere di Luigi XIV (solo in tv) e L'Harem, La Cina è vicina e A ciascuno il suo, La bisbetica domata, il miglior film di Zeffirelli, e Edipo re, Lo straniero e II giardino delle delizie, l'esordio di Silvano Agosti. Il cinema colto e il cinema popolare vanno alla scissione. Incomunicabilità totale. L'industria italiana in mano a strani figuri ne risentirà, non sarà più in grado nei decenni successivi di assorbire i succhi creativi fertili e indipendenti, forse definitivamente. E' un momento magico, dentro e fuori le sale cinematografiche. L'Italia sta per vivere gli ultimi splendori della Cinecittà classica, che sarebbe già capace anzi, ma non se ne accorge e nessuno l'aiuta, di precorrere i tempi. | nostri sub-musical, western spaghetti, horror estremi, avventurosi visionari, film "alla 007", fantascientifici a budget zero, film-fumetto e polizieschi, per lo più coprodotti con la Francia, a basso costo e alto ingegno, sono testi sacri pop per i filmakers d'oltre manica più anticonformisti. Landis e Scorsese, Demme e Dante, Carpenter e Waters, Henenlotter e Bartel, Spielberg (che già vi vede ET. e Indiana Jones) e Lucas, coloro cioè che guideranno poco dopo l'immaginario, per la prima volta planetario, globalizzato, fino alla fine del secolo, intanto studiano, e prima di Quentin Tarantino, Lucio Fulci (Come rubammo la bomba atomica), Antonio Margheriti (La morte viene dal pianeta Aytin), Steno (Arriva Dorellik), Jess Franco (Agente speciale LK.), Giovanni Fago (Per 100 mila dollari ti ammazzo), Sergio Sollima (Faccia a faccia), Piero Vivarelli (Mister X), Riccardo Freda (Moresque, obiettivo allucinante e La morte non conta i dollari), Ugo Tognazzi (Il fischio al naso), Sergio Corbucci (Bersaglio mobile e | crudeli), e Vittorio Cottafavi, Mario Bava e Giulio Questi. Intanto. Siamo agli ultimi bagliori del crepuscolo hollywoodiano. Un attimo prima dell'insorgenza definitiva della "new Hollywood", della generazione dei decostruttivisti (Coppola, Altman, Woody Allen, Ashby, Peckinpah, Rafelson, SchatZberg, Pakula, Mulligan, Peerce, Pollack, Roy Hill...). E tenendo da parte chi fa cinema direttamente rivoluzionario: gli underground; lo spaesato britannico Boorman; Theodore). Flicker, il cineasta sostanzialmente di un solo film e punito per averlo realizzato come voleva; i newyorkesi volanti come Cassavetes che catturano il respiro asmatico e nevrotico della metropoli; Orson Welles e Jerry Lewis. Sono proprio nel loro momento più "cool" i grandi vecchi dello studio system, che hanno appena fatto, o gireranno tra breve, il loro ultimo film, come Cukor, Minnelli e Ford. Da Howard Hawks (E! Dorado) a Sam Fuller, da Nicholas Raya Billy Wilder, da Elia Kazan a Robert Aldrich (Quella sporca dozzina), da Blake Edwards (Gunn) a Anthony Mann, da Stanley Donen (Bedazzled) a Otto Preminger (Hurry Sundown), da Frank Tashlin (Caprice) a Charlie Chaplin (La contessa di Hong Kong), da Henry Hathaway (The last safari) a John Huston (Riflessi in un occhio d'oro), da Phil Karson (A time for killing) a Mitchel Leisen (Spree), da Anatole Litvak (La notte dei generali) a Don Siegel (Madigan), da John Sturges (Hour of the gun) a Leslie Martinson (Fathom), da Arthur Penn (Bonnie and Clyde) a Richard Brooks (A sangue freddo) e al "fuori gioco" Joseph Losey (L'incidente). Tranne quest'ultimo, definitivamente esiliato a Londra, sono cineasti che ci danno nel 1967 le loro opere più esizialmente perfette e curate, dai cromatismi e dal significato più barocchi, dai tempi perfetti: puro catalogo mozzafiato degli stereotipi, dei generi, delle seduzioni più glamour, dei movimenti di macchina più elaborati e delle tecniche prodigiose della Hollywood di fase bizantina (la Viennale del 1994 proprio al cinema "cool", quello realizzato nella decadenza di Hollywood, tra il 1958 e il 1968, data di nascita della “new Hollywood", ha dedicato la sua bellissima retrospettiva). Tutti quegli elementi sono pronti all'esplosione ma eccoli qui congelati, fermati nell'eternità, per sempre. Eppure, anche in quei capolavori della crisi, la magia del ‘deja vu' riesce: il racconto è mistero, l'immagine è sogno, l'onirismo insomma resta miracolosamente fluido e equilibrato, ogni dettaglio è studiatissimo. Manca l'errore. Mentre chi attacca Hollywood frontalmente cerca il jamais vu', squilibri, anarchie, errori, smascheramenti, rimasticamenti, decentramenti, ribaltamenti, innesti e confusioni di generi, disarmonie, distruzioni. Lo vedremo anche nelle opere di Snow, McBride, Goldman, Lewis, Boorman, Flicker, che valorizzeranno il superfluo invece del sostanziale, il doppio invece dell'originale, l'interpolazione invece del ‘filo conduttore’. Estrarranno, da immagini che disturbano e non consolano, il dolore, la violenza e la follia che nel genere ferreo della produzione in serie di sogni sono stati mimetizzati, occultati. E che intanto nella realtà, nella vita, nei ghetti neri esplodono, bruciano. Siccome l'ordine imperante è strutturalmente disordinato (già il ‘Rossellini televisivo' incolpava l'anarchia catastrofica dello sviluppo capitalista responsabile del genocidio per fame, facilmente evitabile date le risorse, della quasi intera umanità), si cercherà con l'arte, di introdurre caos nell'ordine lo scrive Adorno. Lo praticherà il controcinema, con maggiore rabbia Glauber Rocha, da allora fino alla sconfitta, un decennio dopo. Nasce e si esaurirà in quel decennio 1967-1977, infatti, anche il cinema militante. Chris Marker nel 1978 ne tesserà l'elogio funebre in Le fond de l'air est rouge, sottotitolo Scénes de la troisiéme guerre mondiale 1967-1977. Dando la palla, da allora, al consumatore di immagini liberato (almeno lui): che ordini in modo diverso gli elementi proposti, che non caschi più in alcun trabocchetto ideologico, etico, religioso, contenutista, formalista; che 4 inventi un immaginario interattivo attrezzato, fantasioso e non celibe. Poteva essere l'era della rivoluzione, è stata almeno l'era di David Lynch e Quentin Tarantino 1967. Viviamo intanto in Europa la miaturità delle nouvelles vagues -Francois Truffaut gira Farenheit 451 e diventa il regista francese numero uno, non è più outsider- penetrate anche nei luoghi più difficili da sconsacrare, come Bucarest, Mosca, Praga e Belgrado, nascono nouvelles vagues, con un po' di ritardo, perfino nel Medio Oriente e nel Bengala...Fassbinder deve ancora realizzare la sua opera prima. Abbiamo scelto qualcosa di ciò che fu prodotto in quell'anno anche dai tre mondi extraoccidentali (Glauber Rocha, Nagisa Oshima e Shohei Imamura, per esempio) o che arrivò in Italia in qualche modo. O di cui allora si discusse. Nei club off, come il Filmstudio di Roma, dove approdava prima o poi la produzione alternativa di tutto il mondo, ed erano di casa Straub, Warhol, Markopoulos, Mekas e Brakhage. O ciò che fu analizzato (e magari visto dal pubblico normale molto dopo o mai) nelle riviste di tendenza, come “Cinema e film," cui molto dobbiamo nella scelta di questi film, e che apparve folgorante proprio nel 1966-1967, come Echi del silenzio di Peter Goldman, che pure fu realizzato nel 1965, o il più visto Le Samourai di Jean Pierre Melville.

1967, l'anno unico[modifica | modifica sorgente]

Di Roberto Silvestri.

Come nei terremoti devastanti. Si spacca la terra, da una parte c'è il vecchio che ci abbandona per sempre, dall'altra c'è un nuovo magmatico e misterioso che avanza. In mezzo c'è il 1967 e qualche dinosauro sbruciacchiato dalla lava incandescente che, forse, sopravviverà e trasmetterà memoria genetica... L'antagonismo sociale dei primi giovani diseredati metropolitani, a Mosca come a Tokyo, ha già fatto sentire la sua voce, ma è ancora solo teppismo isolabile, facile da controllare e degradare a gang criminale. Sfugge il contro design del consumo soprattutto giovanile di massa, però, e criptici sono i segnali telepatici di comunicazione tra teenagers polimorfi che liberano i loro corpi, stranamente disincarnati, nel rock che dilata la coscienza, nel viaggio beat (dentro e fuori di sé), nella transmentalità lisergica, nel sesso zen, nelle religioni non comandate...del 1967 sono i seguenti film beat-rock: Catalina Caper di Lee Sholem con Little Richard, Clambakedi Arthur H. Nadel, Easy Come Easy Godi John Rich e Double trouble di Norman Taurog con Elvis Presley, il juke box musical C'mon let's live a little di David Butler con Jackie DeShannon e Bobby Vee, The cool ones di Gene Nelson con Glen Campbell, Don't make waves di Alexander Mackendrick con Claudia Cardinale e i Byrds, Four stars di Andy Warhol con i Velvet Underground, Good Times di William Friedkin con Sonny and Cher, The Greadful Dead di Robert Nelson, Here we go round the Mulberry Bush di Clive Donner con The Spencer Davis Group, How | win the war di Richard Lester con John Lennon, it's a bikini world di Stephanie Rothman e The Animals, Magical Mystery tour dei Beatles, Riot on Sunset Strip di Arthur Dreifuss con Chocolate Watch Band and The Standells, Separation di Jack Bond con i Procol Harum, Tonite let's all make love in London di Peter Whithead con Small Faces, The trip di Roger Corman con Mike Bloomfield, Up the Junction di Peter Collinson con Manfred Mann. Tanto per capire quale era la colonna sonora, tanto per ricordare l'Impero di Bandiera Gialla, di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. Il pianeta, inoltre, non accettava il bipolarismo. Rangoon e il movimento dei non allineati ricordano che non tutti i popoli, il vietnamita, per esempio, o l'indonesiano (appena sterminato: mezzo milione di persone) sono docili alle manovre delle multinazionali e dei suoi eserciti e che il modello delle “democrazie popolari" e della sovranità limitata sia iniquo e catastrofico, salta all'occhio di chiunque, a sinistra, e fin dall'inizio. Le lotte di fabbrica in tutto il mondo industriale, nei primi anni'60, hanno già dato lo ‘start', e il primo vero segnale inquietante. Una forza lavoro a basso costo e a professionalità zero, ma a circolarità mille, da sfruttare sadicamente ovunque, è diventata l'operaio massa multinazionale incontrollabile, soggetto antagonista che darà un bel filo da torcere: ispanico e nero in Usa; maghrebino, turco, italiano, spagnolo e portoghese in nord Europa. Un ‘mostro’ che cambierà il mondo, cercherà con le sue lotte di istillare un po' di civiltà responsabile ovunque, e farà tremare il vero Mostro, il Dominio del Capitale, privato, di stato o di corporation. Anche perché le operaie della casa, nel frattempo, fanno saltare anche l'ultimo luogo di comando del ‘maschio sposato con prole' creando non pochi problemi agli equilibri simbolici dei film a venire. Ma, nel 1967, il ‘mostro' sta solo per toccare la maniglia... Le nouvelles vagues nazionali, europee dell'est e dell'ovest, ma anche indiane, dell'America Latina e dell'Estremo Oriente, da dieci anni, dal 1958, stanno intanto provocando un maremoto rovinoso, mentre l'immaginario africano emette i primi vagiti alternativi. Giovani filmakers ambiziosi e determinati, in cerca di aria pura e iconoclasti, visionari e pieni di talento, patricidi conseguenti, si sono sbarazzati della tecnica dei registi anziani, dei generi polverosi e abusati, dei modi di produzione rigidi e paralizzanti, della lavorazione in studio, del sistema divistico antiquato, della commedia che non fa più ridere, del dramma che non dà più emozioni. Dei cinema di papà autoritari, gerarchici, letterari, ottocenteschi. Hanno adisposizione armi teoriche raffinate per dichiararlo morto, sepolto dalla banalità. Il formalismo, lo strutturalismo e la semiologia. Il cinema di papà, analizzato, è smascherato. Falso, pericoloso, noioso, da museo. Hanno a disposizione tecnologie leggere per prescinderne. Ed ecco gettarsi, zavattinianamente, al fianco di Jean Rouch o dei fratelli Maysles, per le strade con troupe minimaliste e 16mm o 8mm o 35mm usati come ‘camera stylo', ‘cinema verità', cinema diretto, cinema personale... cinema che racconta un'altra realtà, lontana da quella tangibile, più chiara, individualmente: Andy Warhol ha un anno intenso: /, a man, Bike boy, Nude restaurant, Four star 24 hours movie e Imitation of Christ. Imitando i documentari sociali delle tv più critiche, come la BBC; portando l'osceno al livello della nostra comprensione critica, visto che la pornografia ha ormai diritto di accesso libero nelle nostre fantasie; cercando aria pura e fresca per sfuggire all'anidride carbonica delle immagini elettroniche intossicate. E non lavorano in nome del ‘nuovo', per uno spettatore che non c'è ancora, come fanno Straub e Godard, ma a cominciare dall'anno successivo, ma per rimettere a posto alcune cose vecchie da recuperare, restaurare. Le ‘avanguardie storiche', per esempio. Non sono bastate due guerre mondiali a cancellarle, a digerirle. Tutto ricomincia da Dziga Vertov, Vladimir Vladimirovic Majakovskji, Hans Eisler. Ricomincia da quel testo che Dusan Makavejev consegna ai critici assieme al suo film Uno questione di cuore. "Come un libro, il film deve essere letto tra le righe. E tra le righe non c'è nulla. Il mezzo è il messaggio. Non esistono grandi artisti che non abbiano provato a descrivere l'atto sessuale. Il problema era fare un film in cui avessero massima importanza il fascino della nullità, gli istanti senza senso, la gente che non pensa. Che fosse una storia d'amore simpatica, comica, semplice, buffa, erotica e un po' nevrotica, come ogni rapporto umano. L'immagine deve soddisfare lo spettatore, dargli la “gioia di vedere" e nient'altro. E il suono deve aggiungere a tutto ciò che è privato e grazioso una dimensione storica. Gli strutturalisti sono gentilmente pregati di far speciale attenzione ai seguenti elementi: a) i topi; b) il rapporto tra “signifié" e “signifiant"; c) la rivoluzione. ‘L'arte è tutto ciò che si può far passare come tale': Marshall McLuhan"(Dusan Makavejev).

I film[modifica | modifica sorgente]

Aspettando il sessantotto[modifica | modifica sorgente]

Alle origini dell'underground italiano[modifica | modifica sorgente]

Di Antonio Costa

“Queste opere vivono nella memoria di chi le ha viste come macchine capaci di produrre illusione e desiderio". Queste parole di Vittorio Fagone (1990:182), critico d'arte che ha seguito con grande attenzione l'evoluzione dal cinema sperimentale alla videoarte, si riferiscono ai film di Gianfranco Baruchello. Il contesto è quello della stagione aurorale del cinema d'artista, cinema dei pittori (“una stagione che non mi vergogno di rimpiangere pubblicamente"), in cui oltre a Baruchello vengono citati, tra gli altri, Anna Lajolo, Guido Lombardi, Mario Schifano, Ugo Nespolo. Credo che si possano estendere anche a molti altri film che hanno segnato la nascita del film sperimentale italiano le parole di Fagone, che bene rendono il clima di quella stagione. Quella stagione, appunto. Quando comincia? E quando finisce? E ancora: quali sono i confini di quelle esperienze? Cosa si comprende sotto le varie etichette di cinema sperimentale, underground, d'artista, indipendente? La (non molta, in verità) letteratura sull'argomento ci ha trasmesso alcuni dati che finiamo per ritrovare ripetuti in ogni compilazione storiografica più o meno attendibile: dipendenza (se non altro dal punto di vista organizzativo) dal modello del cinema underground statunitense (la Cooperativa del Cinema Indipendente modellata sul NAC); prevalenza di singole poetiche e percorsi individuali piuttosto che autentico programma di gruppo; rapida evoluzione e crescita del movimento sessantottesco con conseguente disinteresse per gli esiti nel frattempo maturati sia individualmente che in gruppo. Una volta che si decida di ritornare -e le ragioni possono essere diverse, ma tutte ugualmente valide- su quella stagione, sui suoi protagonisti indipendentemente dai percorsi individuali successivamente compiuti, sui loro film e sui loro testi, ciò che emerge è un bisogno di esperienza di cinema. Come ricordava opportunamente Bacigalupo (1974), furono proprio i protagonisti della CCI i primi a far conoscere in Italia i film del NAC. E quindi esperienza del cinema altrui, ma soprattutto esperienza di un cinema da fare, al di fuori del cinema istituzionale. E inoltre esperienza di cinema che si confonde con altre esperienze: di vita e di arte. Insomma, il cinema visto come esperienza essenziale, necessaria: quasi una risposta a un imperativo interiore, ma non solo (il faut absolument étre moderne!). Uno dei tratti che più colpisce nel cinema underground italiano è la totale (o quasi) assenza di riferimenti a una tradizione sperimentale del cinema italiano che pure era esistita (Aprà 1975:157). Perché non conosciuta, dirà qualcuno. O semplicemente perché gli stimoli vennero da fuori, perché le fonti furono cercate altrove. Ma forse non fu senza conseguenze questa assenza di radicamento e di confronto con una tradizione propria. Non è un caso che qui a Bellaria insistiamo tanto, come stiamo facendo da alcuni anni, sulle esperienze degli anni Sessanta. Dopo la personale di Grifi e il cinema e i video del e sul Living Theatre (con una notevole selezione dei film di Alfredo Leonardi), proponiamo quest'anno le prime esperienze di Bacigalupo, Baruchello, De Bernardi, Schifano, Nespolo, Adamo Vergine e Pia Epremiam. Questa sistematica rivisitazione che abbiamo cominciato e continuiamo (e continueremo, se possibile) a fare, vuole (vorrebbe) essere un'occasione per stabilire un rapporto con il passato (più o meno prossimo): un rapporto problematico, magari anche critico, non certo celebrativo e rituale. Tant'è vero che nella nostra proposta che quest'anno è focalizzata sull'anno 1967, l'anno "prima della rivoluzione" è compreso non solo il cinema underground italiano, ma un panorama di più ampio respiro che comprende alcuni dei punti più avanzati della ricerca internazionale. Proponendo le “vedute di un anno", il 1967, con qualche piccolo -e motivato- sconfinamento avanti o indietro, si è voluto mostrare allo "statu nascenti" un fenomeno che conoscerà ben altri sviluppi, collegamenti e accelerazioni l'anno successivo. Ma è probabilmente nel tempo della vigilia che meglio si possono vedere radici, rapporti di parentela e di filiazione, cogliere il fenomeno nella sua complessità. Questo dovrebbe mettere al riparo da mitizzazioni, atteggiamenti celebrativi. E preparare le condizioni, quando sarà il momento, per un approccio non superficiale con l'anno 1968.

Massimo Bacigalupo[modifica | modifica sorgente]

Gianfranco Baruchello[modifica | modifica sorgente]

Tonino De Bernardi[modifica | modifica sorgente]

Pia Epremian[modifica | modifica sorgente]

Anna Lajolo e Guido Lombardi[modifica | modifica sorgente]

Ugo Nespolo[modifica | modifica sorgente]

Luca Patella[modifica | modifica sorgente]

Mario Schifano[modifica | modifica sorgente]

  • Serata
  • Ricordo
  • Anna Karina in agosto vista dalle farfalle
  • Jean-Luc Cinema Godard

Adamo Vergine[modifica | modifica sorgente]

Espiazione - 1968

Spazio Aperto[modifica | modifica sorgente]