1998
Enti promotori e direzione[modifica | modifica sorgente]
Associazione cinema dell’Adriatico, Comuni di Bellaria Igea Marina, Cattolica, Rimini
Direzione[modifica | modifica sorgente]
- Consiglio di amministrazione: Mauro Conti (Presidente), Mara Garattoni, Pierpaolo Parma
- Direttore: Gianfranco Miro Gori
- Segretario: Antonio Tolo
- Comitato scientifico: Gianfranco Angelucci, Vittorio Boarini, Vincenzo Cerami, Antonio Costa, Alberto Farassino, Giacomo Martini, Morando Morandini
- Direttore Artistico: Marco Bellocchio
- Coordinamento e relazioni esterne: Angela Leone
- Segreteria e amministrazione: Miriam Pozzi
- Segreteria e ospitalità: Alessandra Fontemaggi
- Documentazione e cataloghi: Giuseppe Ricci con la collaborazione di Marco Leonetti
- Segreteria a Cattolica: Simonetta Salvetti
- Segreteria a Roma: Veronica Martini
- Addetto Stampa: Marzia Milanesi, Barbara Sassano (assistente), Paolo Pagliarani
- Servizi tecnici e allestimenti: Edoardo Zangheri, Paolo Tombeni
- Grafica e immagine: Enzo Grassi - “Colpo d’Occhio”
- Corrispondente dagli Stati Uniti: Giulia D’Agnolo Vallan
Curatori e consulenti: Daniela Ceselli e Francesca Pirani (retrospettiva: 1968 Ha ballato una sola estate, convegno: L'immagine in movimento e il movimento dell'immagine), Alberto Farassino (retrospettiva: L'investigatore privato), Leonardo Gandini (sezione: Scuole di cinema), Enrico Ghezzi (compleanno: Nostra signora dei turchi), Riccardo Giagni (sezione: La musica del cinema), Fabrizio Grosoli (sezione: Anteprime internazionali), Mario Sesti e Dario Buzzolan (sezione: Cinema italiano), Giovanni Spagnoletti e Sergio Toffetti (personale: Robert Bresson)
Presentazione[modifica | modifica sorgente]

Il presidente dell’Associazione Cinema dell'Adriatico Mauro Conti.
La Romagna è una terra propizia per il cinema. Vi sono nati registi, sceneggiatori, attori...: Federico Fellini, per esempio, o Tonino Guerra, pochi giorni fa vincitore con Anghelopulos della Palma d’oro a Cannes. Vi si sono realizzati, vi si realizzano film. Vi si sono coltivati, vi si coltivano i “riti” della visione cinematografica: la provincia di Rimini è fra le prime in Italia al botteghino; e in essa, da tempo, si organizzano festival. Anteprima di Bellaria Igea Marina, MystFest di Cattolica e Riminicinema, solo per citare gli ultimi, si sono conquistati uno spazio e un ruolo non secondario né banale tra le manifestazioni simili in Italia e nel mondo; e oggi che non esistono più, essendo confluiti in un evento unico, Adriaticocinema, desidero ringraziare tutti coloro che vi hanno lavorato. Quanto a Adriaticocinema, neonato, mi piace precisare che non si tratta dell’addizione dei tre festival precedenti, né della somma delle tre città (Bellaria Igea Marina, Cattolia e Rimini) che lo hanno fondato. Si tratta bensì di una manifestazione unica e -pur rivendicando le proprie tradizioni- nuova.
Di Marco Bellocchio
Pensando alla conferenza stampa del 6 febbraio mi pare oggi che il programma definitivo di Adriaticocinema sia nella sostanza quello che avevamo annunciato. Un programma in cui la ricerca di nuove forme, di nuovi linguaggi è il corpo centrale del Festival e sarà il principale tema di discussione del convegno sul cinema italiano: “L'immagine in movimento e il movimento dell ‘immagine’. In questo senso abbiamo scelto i film italiani che parteciperanno al concorso, nel rigore che ci eravamo sempre prefissi. (Anche la giuria, composta da critici militanti e molto tendenziosi mi sembra in armonia col criterio di selezione: premiare la bellezza, l'originalità delle immagi- ni, secondo un’indiscutibile sensibilità e competenza). In questo senso ho invitato, fuori concorso il primo film di Massimo Fagioli e in questo senso proponiamo film “invisibili”, cioé film magari già presentati in altri concorsi o usciti anche fuggevolmente nelle sale (0 anche non fuggevolmente, ma che, come l’ultimo di Ciprì e Maresco, il pubblico delle tre città del Festival non avrebbe l'opportunità di vedere), film che sono scomparsi, a cui il Festival, senza illudersi di miracolarli, vuole offrire una nuova visione, di poter riapparire su uno schermo bianco. La perseveranza, la coerenza in arte devono essere riconosciute e premiate pro- prio perché viviamo in un'epoca in cui l’incoerenza, la dissociazione e la futilità sono la regola della vita quotidiana e producono ovviamente, poi, nella maggior parte degli artisti, immagini incoerenti, dissociate, futili... In questo senso presentiamo le retrospettive non integrali di un gruppo di autori nuovi (... Roberta Torre, Pasquale Misuraca, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Eros Puglilli, Bruno Bigomi) che, più o meno appartati, aristocratici, ma fedeli al loro stile, alle loro immagini originali implicitamente si contrappone al cinema dei padri, che più che padroni materiali del cinema italiano si comportano, sono dei “padri paralizzanti” nel senso di impedire o ritardare una vera rinascita. Senza vietare nulla, facendo semplicemente quello che hanno sempre fatto. Mi viene in mente una battuta di Cecov: “Costa: Sono necessarie nuove forme, nuove forme sono necessarie, e se queste mancano allora è meglio che niente sia necessario” (Il Gabbiano, Atto 19.11 prezzo di queste nuove forme in quel caso è il suicidio, per questo credo che, contro una tradizione di romanticismo ormai decomposto, va ricercata una terza via che, rifiutando la mediocrità, eviti l’autodistruzione. Il prezzo della ribellione del 68 è ancora il suicidio del 68. Per citare la rassegna “Ho ballato una sola estate”, curata da Daniela Ceselli e Francesca Pirani, che appunto indagando prevalentemente sui film che hanno preparato il 68 individua in essi una costante suicida. Il suicidio immanente al 68. Manon voglio ricordare tutto il programma sarebbe una fatica inutile per chi legge, il catalogo è fatto per questo e basta guardare l'indice. Non posso tuttavia non accennare a tre eventi, magari non particolarmente clamorosi, ma molto qualificanti e cioè il Festival delle scuole di cinema, il Convegno sull’appena riformato CSC diventato SNC, e la partecipazione di Adriaticocinema alla produzione di due cortometraggi di due allieve della Scuola Nazionale di Cinema e a un corto di Matteo Garrone, attività assolutamente da potenziare per un festival che vuole essere attivo, partecipante alla vita del cinema italiano. Una parola infine sulla libertà di espressione di questo Festival e cioè di poter divagare, sconfinare in altre forme dell’arte e non necessariamente complementari al cinema. La musica, il teatro, la danza, la pittura, l’architettura... Questo per- ché non è possibile che chi “sente” il cinema sia sordo alla musica o al teatro, può essere incompetente, ma la sensibilità non è a compartimenti stagni, reagisce a tutte le espressioni d’arte quando sono vere e profonde, e poi perché lo spazio del festival, distribuito su tre città, può rispondere naturalmente a una rappresentazione globale, come sei film, i concerti, le lezioni fossero le diverse immagini di un unico movimento, di un unico teatro che si sposta continuamente da un luogo all’altro, nel tempo, secondo la luce del giorno o il buio della notte.
Concorso Adriaticocinema[modifica | modifica sorgente]
- Alla scoperta dell’acqua calda di Michele Miegge
- Amleto di Stefano Patteri, Giovanni Rossetti, Alberto Zanetti
- Benvenuto a San Salvario di Enrico Verra
- Cadere nel tempo di Manuele Cecconello
- Cadute di Claudio Pazienza
- Il caso di forza maggiore di Matteo Garrone, Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata
- La cena informale di Salvo Cuccia
- I colori della città celeste di Pappi Corsicato
- Fine pena mai di Benedetto Proietti, Giovanni Caccamo
- Funamboli di Mattia Battistini, Lina Battistini, Manuel Cassano, Raffaella Cassano
- Girotondo, giro attorno al mondo di Davide Manuli
- HQ1 - La tragica storia di Amleto, principe di Danimarca di Dimitri Patrizi
- Incerta di viaggio di Valentina Girodo
- Incontri rubati di Daniele Ciprì, Franco Maresco
- Incerta di viaggio di Valenti Girodo
- Mare largo di Ferdinando Vicentini Orgnani
- Nadia Luca & Roberto di Cosimo Terlizzi
- Pentesilea di Leonardo Carrano
- Polaroids di Hakim Zejjari
- Il racconto del leone di Francesca Marciano
- Santarielli d’Amantea di Pasquale Misuraca
- Shakespeare à Palerme di Francesca Comencini
- 35 aforismi su Elias Canetti di Francesco Paladino
- Victor di Giuseppe Mauresi, Franco Maurina
- Voyage pour Katie, Jean-Pierre et Jean-Luc di Federico Ramundo
- Appunti da Santarcangelo di Mario Martone
Concorso La calma[modifica | modifica sorgente]
Di Daniela Ceselli e Francesca Pirani.
Il tema della calma è una sfida alla sensibilità degli autori, proprio per il carattere peculiare di questo affetto: un comportamento pacato, tranquillo può essere scambiato per calma, ma in verità molto più frequentemente si tratta di indifferenza. Quindi abbiamo proposto agli autori dei cortometraggi di non fermarsi alla fenomenologia ed al comportamento, e di Spingersi nei territori del latente, per svelare il contenuto più profondo che si nasconde dietro ii gesti, gli sguardi, le parole. Calma quindi, intesa non come controllo delle proprie passioni, maschera ingannevole, assetto indifferente e manierato di chi non ha in verità affetti e sentimenti forti, ma invece, calma intesa come dimensione di certezza, di pienezza, di mancanza di angoscia di fronte alle cose della vita. Catturare l’essenza di questo affetto e rappresentarlo, pone senz'altro gli autori davanti al cimento di andare oltre il visibile, sollecitandoli ad affrontare una ricerca artistica per cogliere l’immagine nascosta che riveli questa misteriosa qualità umana.
I titoli del concorso[modifica | modifica sorgente]
- Alice di Daniela Panfili, Elisa Vannini, Francesca Lucchetta, Lavinia Mandolini
- Ali di farfalla di Marcello Benvenuti e Paolo Matassini
- All you need is... di Luciano Monti
- L'amico Terry di Maurizio Failla
- A pruvatu mai? di Moni Giardina e Riccardo Sgalambro
- Attimi di Stefano Salvatori
- Bicho Preguira di Alberto Di Cintio e Hugo Lucini
- Buon vicinato di Giorgio Longo e Carlo Gianneschi
- Butoh di Uccio Pazienza
- La calma a cura di C. Bellesia, C. Calzolari, S. Collina, C. Martini, N. Tartarughi, G. Toschi
- La calma di Cristian Comand
- La calma di Daniele Santurro
- La calma di Elio Deponti e Luca Pelliconi
- La calma di Emanuele Miceli
- La calma di Flavio Moretti
- La calma di Luigi Cecchetti
- Calma di Raffaele Luponio (coordinatore degli allievi)
- La calma di Serena Ferrara
- La calma di Vanni Vallino
- La calma... e il suo segreto di Giorgio Fipaldini
- La calma: psicogenesi di Stefano Giottoli e Marco Riva
- La candela di Lauro Crociani
- Calma non calma di Romano Guelfi
- Calma plastica di Giulio De Andreis e Antongiulio Panizzi
- Calmati! a cura del gruppo “Jarmush” (Jessica Ansalone)
- Calmo... universi di movimenti di Alfonso Cioce
- Campestre di Claudio Di Giorgio
- Caterina di Enzo Ferrara e Daniela Panfili
- Celebrazione di Monica Petracci
- Cogito ergo bum di Paolo Rossetti
- Con calma io da sola di Luciano Galluzzi
- Con calma. Luogo comune di Simona Zara
- Con sigara...e senza di Paolo Taddei
- Confine di Mario Catto
- Confini di Giuseppe Bazzocchi
- Da lontano di Vito Amodio
- Da un anno poco più di Gianluca Stuard
- Dal bel seren de le tranquille ciglia... di Alfredo Mastrogiovanni
- Deconstructing coffee di Manuel Frara
- 2 di Daniele Carrer
- :- (| (due punti, segno meno, aperta parentesi) di Adriano Mestichella e Nicola Poddighe
- I due re di Alberto Comandini
- Ecco, adesso di Simone Massi
- Echolalia di Massimiliano Nuzzolo
- Entro mezzogiorno di Domenica e Maria Di Mario
- Finale di partita di Ja'nnis Kakara's
- Il finalista di Bruno Memoli
- Finalmente calmo di Marcello Gori
- Fiore di guerra di Sandro Vasini
- Fuoco di fila di Antonio Mora
- In aprile di Simone Massi
- In assenza di vento di Stefano Guccini
- In giro di Alessandro Ingargiola
- Invernale di Maria Rosa e Marino Rore
- Io sto bene e spero anche di voi di Philippe Chabert
- Keep on! Keepin' on! di Simone Massi
- Laura di Primo Giroldini
- La lettera di Alessandro Ingargiola
- Le mani di Penelope di Giuseppe Guastella
- Una mattina di Daniele Ravaglia
- Il mondo subacqueo di Davide Zagnoli
- My heart nil go on a cura di S. Tugnoli, L. Amitrano, E. Mezzetti, S. Landi, F. Tavernari, M. Maldotti
- Niente di Simone Massi
- Una noia dolente da speranze crudeli di Alessandro Zanchini
- Non perdere la calma... scappa a cura del gruppo “Mainposa” (Gianni Gozzoli)
- Norma di Giacomo D'Agostino
- Nuala di Ezio Romano
- Pansa di Nicola Scorza e Michele De Virgilio
- I performanti di Rinaldo Rivarola
- Il placidista di Andrea Pavone
- Portatori di calma di Andrea Taqui Fanelli
- Primo paragrafo di Francesco Asaro
- Psicopatic di Fulvio Pisani e Federico Bona
- La quiete di Cravo di Alessio Fattori
- Quipu di Rosario Compare
- Ramificazioni di Silvia Di Domenico
- Il rumore della mano destra di Andrea Bolioli
- Rumori di fondo di Gianbattista Pini
- Se mi vuoi chiamami questa sera di Rocco Ministeri
- Segnali dalla galassia di Marco Pitrone
- 1600 giorni di Anna di Enrico Venditti
- Senza titolo di Roberto Baratti
- Sfida a S. Polo di Giancarlo Dini
- Soli di Domenico Mirdaca
- Solitudo di Luciano Monti
- Soste di Fabio Fiandrini
- Stimoli di Sabrina Santi
- Stress di Maurizio Maliore
- Il tempo vola di Silvana Martina
- Terza ora educazione artistica di Andrea Lato
- Il titolo è alla fine di Fulvio Calderoni, Bruno
- Pisano e Alessandro Talamo
- Tra i due litiganti (la calma è la virtù dei forti) di Gianluigi G. Giorgiola
- Tunnel di Adelio Gregori e Romano Usa
- L'ultimo della serie di Gianmarco Mastore e Armando Meroni
- L'uomo nero di Danilo Ramirez
- Underground di Daniele Marcovecchio
- Water power di Alessandra Bergero
- Waterline di Guglielmo Finazzer
- Yes & not di Werther Germondari e Michele Sanzò
Concorso Immagina la musica[modifica | modifica sorgente]
Di Gino Castaldo
Chiedere ai lettori di mettersi a realizzare un proprio videoclip ideale, adattandolo a qualsiasi musica desiderassero, c'era sembrata una sfida divertente, ma piuttosto difficile. In fondo si trattava di pensare, di avere un'idea, di avere a disposizione mezzi tecnici non proprio irraggiungibili, ma comunque non automatici. Ci dicemmo: se ne arrivano trenta 0 quaranta è già un successo. Bene, ne sono arrivati più di duecentocinquanta e abbiamo visto crescere il mucchio di videocassette in redazione con crescente stupore. Ci siamo accorti che il richiamo funzionava molto oltre le nostre riduttive aspettative. E’ perfino banale dirlo, ma tanti anni di stralunati e fantasiosi abbinamenti tra musica e immagine, hanno diffuso capillarmente il germe di un linguaggio nuovo. Non musica applicata, o effetti visivi applicati all'immagine, ma di fatto un nuovo piano linguistico la cui unità potrebbe essere una immaginaria sillaba allo stesso tempo sonora e visiva. Vedremo in futuro dove porterà tutto questo. Per ora abbiamo una folta rappresentanza di una passione fai-da-te che cresce e serpeggia ai margini della grande industria. Da raccogliere e valutare...
Concorso Scuole di Cinema[modifica | modifica sorgente]
- I frutti puri impazziscono di Marco Bertozzi
- Eat Your Greens - Mangia la tua verdura di Mark Forstmann
- The Two-Wheeled Time Machine di David Lowe
- Denial di Phillip Crawford
- La cella di Philippe Barcinski
- Manden fra dybet - L'uomo dalle profondità di Martin Hagbjer
- Nageurs - Nuotatori di Alain-Paul Mallard
- Ku'damm-Security - Uomo in servizio di Ed Herzog
- Herbsten - Vendemmia di Michael Schorr
- Abschied di Marina Caba Rall
- Doom and Gloom di John McKay
- Jester di Nick Herbert
- Locked di Filipe Alcada
- Toxic Twins - The Beginner di Edo Tagliavini
- Starring Peter Martell di Fabrizio Favro
- Cococobana di Javier Solar, Andrés Leòn
- Dzive nr. 2 di Kristine Zelve
- Komiwojazer di Markus Stein
- Sposob na Moravie di Marek Gajczak
- Close-Up di Evgenij Zvezdakov
- Et ils eurent beaucoup d’enfants di Nicolas Frey
- Prime Time - In prima serata di Dave Monahan
- 1967 di Marylou Tibaldo-Bongiorno
Anteprima[modifica | modifica sorgente]
- Bajo Bandera (Oltre la giustizia) di Juan José Jusid
- Moebius di "gli studenti della Universidad de Cine coordinati dal professor Gustavo Mosquera R., con la collaborazione di Natalia Urruty e Emiliano Torres"
- Oscar & Lucinda di Gillian Armstrong
- Jerry e Tom di Saul Rubinek
- Primo piano sull'assassino di John Raffo
- Historias de futbol di Andres Wood M.
- Préference di Grégoire Delacourt
- Kagi di Toshiharu Ikeda
- Postman Blues di Sabu
- Hold You Tight / Yue kuai le, yue duo luo di Stanley Kwan
- Leila di Dariush Mehrjui
- Il Cielo della Luna di Massimo Fagioli
- Wolves Cry Under the Moon / Guao dao feng bi di Ho Ping
- The real Blonde di Tom DiCillo
- Do Me a Favor di Sondra Locke
- Orgazmo di Trey Parker
Prime visioni[modifica | modifica sorgente]
- Cinque giorni di tempesta di Francesco Calogero
- Cosa c'entra con l’amore di Marco Speroni
- Deserto rosso di Michelangelo Antonioni
- Giochi d’equilibrio di Amedeo Fago
- Giro di lune tra terra e mare di Giuseppe M. Gaudino
- Messaggi quasi segreti di Valerio Jalongo
- Polvere di Napoli di Antonio Capuano
- Totò che visse due volte di Daniele Ciprì, Franco Maresco
Alfabeto italiano[modifica | modifica sorgente]
Da un'idea di Beppe Attene e Beppe Sangiorgi, realizzato con materiale d’archivio della cineteca Rai in collaborazione con la Làntia Cinema & Audiovisivi
Di Marco Bellocchio
Inaugurare il Festival con Alfabeto Italiano ha il significato di proporre dei film prima di tutto di autori italiani molto personali, che operano uno “sfondamento” dei confini, dei canoni abbastanza rigidi dei film a soggetto (la storia secondo la drammaturgia sofoclea) da una parte, e del documentario dall’altra, senza ricorrere alla forma ormai comune del “docu-fiction”, ma inventando, architettando, facendo cinema d’autore essenzialmente al montaggio (quando per noi registi il “momento della verità” sono le riprese, il corpo a corpo con gli attori. Mi vengono in mente i collage dei surrealisti e i fotomontaggi politici di John Heartfield...), manipolando materiali impersonali, senza uno stile riconoscibile, emozionanti in sé per il fatto che documentano dei fatti “obiettivamente emozionanti”; immagini, ma anche suoni, musiche, mescolando tutto e pestando, come nel crogiolo di una strega, perché avvenga una trasformazione (o addirittura una trasfigurazione!). Nasca una forma, uno stile. Questa è la sfida. L'autore dovrebbe diventare uno storico e un artista. Storico in quanto interprete e non soltanto cronista dei fatti, artista in quanto creatore di forme nuove, utilizzando immagini di altri, che hanno girato magari con grande partecipazione personale, ma coll’obbligo professionale di limitarsi a documentare un fatto, catturarlo il più visibilmente possibile (la maggiore difficoltà è che qualche volta si riescono a scoprire materiali straordinari, ma montati secondo dei criteri di totale insensibilità non dico alla bellezza ma a un elementare, tradizionale ordine estetico. Le immagini al puro servizio della voce parlante. Di qui la nostra necessità di ricorrere frequentemente al rallentato, per cercare di allungare il più possibile le emozioni...). Tanti frammenti di tanti sguardi diversi, che si compongono, 2 cui un solo sguardo dà la sua forma. L’aver voluto questa inaugurazione (e aver lottato per averla) ha anche il significato di una mia personale definitiva riconciliazione con il montaggio. E’ davvero finito il tempo della paura di attaccare insieme i vari pezzi, il tempo della paura della dissociazione.
- Bambini, ragazzi, strapazzi di Maurizio Nichetti
- Case cose città di Silvio Soldini, Giorgio Garini
- Lavorare stanca di Wilma Labate
- Le parole del cuore di Giuseppe Piccioni
- Un popolo di poeti di Giuseppe Bertolucci
- La rovina della patria di Marco Tullio Giordana
- Sesso, video e realtà di Simona Izzo, con la collaborazione di Francesco Venditti
Ha ballato una sola estate...[modifica | modifica sorgente]
Di Daniela Ceselli, Francesca Pirani
Abbiamo cercato un'immagine e non un'idea per il titolo di questa rassegna sul ‘68, per non legare la ricerca sulla cinematografia di quegli anni ad un giudizio . Ha ballato una sola estate... è un'immagine che ovviamente nasconde un pensiero, mala cui vaghezza stimola a ricavare un'idea più ricca di umori, di domande, di poesia. Il film di Mattson, completamente dimenticato, propone un'immagine di ragazzetta, legandola al desiderio, alla bellezza, alla giovinezza, ma anche all’impossibilità della sopravvivenza di queste dimensioni umane. Sogno effimero di una notte d'estate... non resisterà alla fine di questa stagione, perchè la norma, la vita reale, quotidiana, sono fatte di un’altra materia. Allora la ragazzetta, come Ifigenia, muore, deve morire, sacrificata al pensiero religioso, per cui è necessario compiere questo rituale, per mantenere saldo il rapporto certo con la realtà. I registi di quegli anni colgono il potere eversivo di questa immagine e la ripropongono in maniera emblematica. Ovviamente già esistevano Giovanna di Dreyer, Lu/ì di Pabst e poi Carmen, Manon, Traviata e un elemento nuovo che vi si lega è senz'altro la ricerca di un superamento della forma narrativa, ovvero la ricerca di una maggiore libertà del linguaggio filmico, per andare verso una destrutturazione della storia e del tempo del racconto. Il tentativo è quello di infrangere la barriera che separa il sonno dalla veglia, il sogno dalla realtà, il pensiero conscio dal pensiero inconscio: sembra maturato il momento, per cui ciò che prima era improponibile, ora è diventato possibile... Dall’euforia di questa sensazione però, non si formano immagini nuove, ma si affacciano sullo schermo sinistre immagini di fallimento: nel prologo di Andrej Rublev (1966) un uomo si solleva dal suolo con un pallone gridando: “volo, volo!”, per schiantarsi a terra poco dopo. Materializzare il sogno, dare corpo all’utopia, fare della rivolta alla norma una prassi quotidiana, questo ciò che viene detto nelle università, scandito nelle piazze, scritto sui muri. Ma allora, perchè ciò che viene rappresentato racconta di una catastrofe senza scampo?... Il tema del suicidio è presente in un’innumerevole schiera di film: da Bresson a Resnais, da Cassavetes a Skolimowski, Godard, Truffaut, Ousmane... Altrimenti la morte giunge dall'esterno, una morte subita, tentata, inseguita: Easy Rider, Zabriskie Point, L'incidente, Rain People, Treni Strettamente sorvegliati... Il sogno si deteriora, si fa irreale, falso, sino a decomporsi e diventare malattia, follia: la maschera aderisce al volto di Morgan che non riesce più a ripercorrere la strada verso se stesso, restando impigliato nella sua fantasticheria. “Il ‘68 mori con il ‘68; la rivoluzione culturale non aveva fatto un bambino. I giovani non erano riusciti a sognare. Addormentati nello stato di veglia scambiarono la realtà per un sogno e, non riuscendo a dormire davvero per aver abbandonato la realtà, scambiarono i sogni con la realtà. Dormienti, ebbero paura della realtà esistente e l’aggredirono senza rifiutarla veramente, insonni, ebbero paura dei sogni e li negarono senza comprenderli”. (M. Fagioli, Le notti dell'isteria). E in questo senso la Storia Immortale di Welles diventa una grande metafora : se non si cerca di far vivere i sogni è la morte, ma se si realizzano è la follia... Il giovane William, ingenuo e “cieco” protagonista de L'Incidente, muore per non saper vedere e rifiutare la complicità fra l’indifferenza di Anna e la fatuità omicida del suo professore. Ne La femme douce, la protagonista scivola nella depressione e si suicida per essersi sottomessa alla freddezza asessuata della ragione. In Vita di Famiglia Bella va incontro al dissolvimento dei confini dell’io, mentre il fratello Witt abbandona qualsiasi ricerca sulla propria identità, per rassegnarsi all’ineluttabile destino dell’identificazione con il padre. Quello che colpisce in tutte queste storie è in fondo la mancanza di idee nuove, originali, e la sostanziale continuità con il passato, con i luoghi comuni di una cultura millenaria. La follia vista come ritorno allo stato animale (Morgan...) o come terribile affermazione di individualità nel processo rivoluzionario (Marat- Sade); l'impossibilità di una regressione, foriera di un angoscioso sgretolamento (Je t'aime, je t'aime); il rischio mortale che comporta l'emergenza del desiderio (Elvira Madigan); la sconfitta di coloro che tentano una separazione da dimensioni vecchie, distruttive, false (Abschied von Gestern, If.., Faces). E se dei pensieri così vecchi alimentano il cinema di quegli anni, viene immediato pensare che non potevano nascere immagini nuove, Originali, e che tutt'al più si poteva giungere alla rappresentazione del già esistente, senza arrivare alla creazione di un linguaggio che esprimesse veramente una rottura epistemologica. l registi più geniali raccontano dell'emergenza storica di una possibilità umana, qualcosa di latente, di inespresso che sta affiorando: la fine della supremazia della ragione, del rapporto positivistico della realtà, il volgersi alla fantasia umana come immenso patrimonio a cui attingere, diverso orizzonte evolutivo. Ma l’immagine nuova non si forma, resta allo stato di impulso, di vaga intuizione subito negata: lascia il suo posto a una creatura sciancata, un mendicante figlio di un dio minore che, non avendo raggiunto la fantasia, vaga dubbioso nella terra di nessuno della fantasticheria, dell’allucinazione, del delirio. Pesava sui registi di quegli anni e su tutta una generazione l'alleanza con un pensiero, con una cultura che sembrò rivoluzionaria, originale, ma che in verità impedì loro una nascita: le idee gonfie di nulla si posarono leggere sulla loro giovinezza e gli chiusero le vie del respiro. Il movimento studentesco a Berkeley, i fermenti di rivolta in Cina e in Giappone, il Maggio francese, l’Ottobre polacco, la Primavera praghese... c'è nel corso degli anni sessanta (pur con le debite differenze, connesse alla realtà politica di ciascun paese), una volontà di rottura radicale con il mondo dato, una speranza di trasformazione, affidata alla fantasia, all’immaginazione, allo slancio individuale e collettivo che 'accompagna al rifiuto dell’esercizio di potere del maestro sull’allievo, al sovvertimento delle istituzioni, dei rapporti gerarchici, dei vincoli burocratici ed economici, sfida all’impossibilità di essere, agire, comunicare, confidando in un'intuizione, in un'energia, piuttosto che in un modello, desiderio di inventare una prassi muova, legata all’intersoggettività, alla fisicità, alla spontaneità espressiva... Sia che si interpreti il ‘68 come irruzione della giovinezza sulla scena politico-sociale, “festa nel quotidiano” o rappresentazione indiretta dell'“assassinio dei padri”, sia che lo si interpreti come conflitto di classi di tipo nuovo o rivolta contro il dominio e l'integrazione, o ancora, crisi dell’Università o crisi di civiltà, non avente di mira un regime, o solo il regime, ma la “società dei consumi” in generale; il ‘68, e gli anni che lo preparano, con la sua impronta di non direttività, il suo portato di energia, di disinibita esuberanza, la sua ricerca espressiva, l'emergere di una libertà nuova che lascia intravedere possibilità nuove, si esaurisce ben presto... è l’amore di una sola notte. L'azione rivoluzionaria non è fabbricazione di un avvenire, non coincide con l’elaborazione di una nuova teoria, di una nuova metodologia di confronto con il reale, ma consiste unicamente nello “scompaginare i piani”, “abbattere le paratie”, “rende- re mobili le cose” (C.Lefort, La Briché). Si è sottolineato che dopo il ‘68 il mondo non è più lo stesso, che le istituzioni mutano completamente (scuola, fabbriche, ospedalì), ma al minimo e doveroso cambiamento, spesso di facciata, impresso alle istituzioni, non corrisponde un massimo di cambia- mento dell’uomo; il movimento hainsé il proprio fine e la propria fine, il suo senso si esaurisce in ciò che esso è: l'apertura di una breccia che immediatamente si richiude... paura, vincoli culturali, difetto di comprensione. E non a caso il tema del suicidio, che abbiamo voluto sottolineare in questa piccola rassegna, è l'immagine emblematica e sottesa di un malinconico ripiegamento su posizioni di sconfitta: materializza e suggella l’insopportabile disperazione dell’utopista, del sognatore, dell’uomo che tenta un rifiuto aperto nei confronti del mondo dato, e, non riuscendo a modificare il reale, schiacciato da una depressione Insostenibile, elimina fisicamente se stesso, “E loris dello spirito rivoluzionario” (che Calvino già individuava negli anni ‘50). Rivoluzionario è chi non accetta il dato naturale e storico e vuole cambiarlo, e questo indubbiamente c'era come aspirazione, ma viene meno come modalità. Proprio nel corso del fatidico anno lo slancio iniziale si placa, il sorriso si irrigidisce in una smorfia, l'interesse si assopisce, la ribellione diventa gesto di maniera, viene meno la fiducia nell’indirizzare il corso delle cose. Forse era troppo difficile e doloroso sostenere l’incertezza della destrutturazione della società in quanto tale, il sovvertimento delle re- gole, il superamento della norma sancita dalla storia: non restava più un “qualcosa” da scoprire, un assetto paralizzante da superare, una visione del mondo da criticare; occorreva un “oltre” da inventare e per inventare un oltre ci voleva molto coraggio, troppo... Studenti rivoluzionari, su una lavagna nomi di drammaturghi, scrittori filosofi vengono cancellati ad uno ad uno, Sartre per primo... polvere di gesso... sul fondo nero non resta scritto che il nome di Brecht. Così nella Chinoise di Godard, film del ‘67, non inserito in questa rassegna, come altri film emblematici di quegli anni, più visibili, quali 2007: Odissea nello spazio, Jules et Jim, Blow-up, Easy Rider, 1 pugni in tasca... All'estremità opposta del globo, Oshima, in Diario di un ladro di. Sbinjuka (*68), rappresenta il percorso iniziatico di due ragazzi, coincidente con la scoperta della sessualità, e fa dire a Torio: “..Noi non siamo mendicanti, in realtà siamo ladri. Tanabe non l'aveva capito. Per questo non si è unito ai nostri giochi di ladri. Umeko voleva rubare la virilità a Tanabe, e contemporaneamente 10 volevo rubare il sesso a Umeko. Ma il piano non è andato a segno. Lui non ha voluto unirsi a noi. Ha tentato di dirci tante cos, ma in realtà non ci ha insegnato un bel nulla... Tutta la cultura ufficiale, impersonata da Tanabe e dai suoi amici, non è servita niente: essi non fanno altro che tentare di svuotare di significato, ora paternalisticamente, ora violentemente, l’anarchica ribellione dei due giovani protagonisti. Immagini emblematiche, rifiuto dei maitres a penser... dove non piombano i carri armati con la loro violenza bruta, spesso sono l’astuzia dell'ideologia, il principio dell’organizzazione politica, la ragione astratta, il linguaggio coltivato in vitro, la delegittimazione filosofica dell’io, invisibili paletti fissati contro la presunta “minaccia” dei giovani in movimento, a tagliare le ali, a isterilire l'immaginazione, a rendere anemica la ribellione... Da R. Aron, La Revolution introuvable: “La intelligentsia degli anni sessanta aveva come dio non più il Sartre del dopoguerra, bensì un misto di Lévi-Strauss, Foucalt, Althusser e Lacan” (gli epigoni dei tedeschi Nietzsche, Heidegger, Freud, Marx). I nuovi intellettuali da una parte sembrano eliminare ogni tentazione metafisica, suffragare la creazione di una nuova estetica, indagare i significati e le forme del linguaggio, fondare un nuovo concetto di uomo e di umanità, ma dall’altra si avvalgono delle aspirazioni altrui, per produrre contro la volontà dei protagonisti, una risultante fondamentale: la paralisi della fantasia e del desiderio di conoscenza, la messa in crisi del rapporto con la realtà, la polverizzazione dell'io, recettivo, sofferente e agente... Riescono a rendere convincente la formula per cui “non esistono fatti, esistono solo interpretazioni” (Lacan): e certo sarebbe stato bello ottenere solo splendide rappresentazioni e valide interpretazioni, il ‘68 aveva fame di immagini, di suoni, di segni nuovi, male interpretazioni del reale spesso generano solo confusione e rassegnazione, e le rappresentazioni, incluse quelle impresse sulla celluloide, sono frequentemente mortuarie, immagini di sconfitta individuale, di omicidio, di suicidio, di follia... Quasi che alla liquidazione delle norme, o meglio alla critica e al dubbio assunti come norma, anzichè legarsi un anelito alla ricerca, si leghi la polverizzazione del soggetto, capace di dare un senso al proprio agire, fino ad una sorta di neonichilismo che affossa cupamente la tensione al nuovo. La libertà di pensiero, sessuale, espressiva, l'emancipazione dell’individuo, l'intuizione di un mondo irrazionale e inconscio, non necessariamente distruttivo, sono tensioni reali e forti negli anni Sessanta, ma presto si tramutano in una specie di opacità dell'io di fronte a se stesso, di impossibilità costituzionale a imprimere movimento alla storia, alla vita, all’arte. E allora risulta meno incomprensibile il futuro dei “sessantottardi”, che, secondo Aron, usciranno da questa situazione di disgregazione, non già aderendo a un “ordine sostitutivo” o un'ipotesi di ricerca alternativa, bensì con l'indifferenza, la violenza agita, il cinismo o ancora, la diserzione dal politico, l’individualismo edonistico, la fine dei dibattiti pubblici, un approccio cool e razionale alla vita, una coscienza toccata da tutto e da nulla, eccitata e indifferente...
- Ha ballato una sola estate di Arne Mattsson
- SInco v sieti di Stefan Uher
- Nicht versòhnt oder Es hit nur Getwalt, wo Gewalt herrscht di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet
- Walkover di Jerzy Skolimowski
- Morgan matto da legare di Karel Reisz
- La Noire de... di Sembène Ousmane
- La ragazza senza storia di Alexander Kluge
- Elvira Madigan di Bo Widerberg
- Marat-Sade di Peter Brook
- Je t'aime, je taime di Alain Resnais
- Lucia di Humberto Solàs
- Storia immortale di Orson Welles
- Une femme douce di Robert Bresson
- If... di Lindsay Anderson
- Zycie rodzinne di Krzysztof Zanussi
Peeping Tom[modifica | modifica sorgente]
Tom Ponzi, un detective pieno di cinema[modifica | modifica sorgente]
Nel corso del 1997, anno dell’ultimo Mystfest, sono morti Hal Lipset, il celebre detective privato autore di “La microspia nel e Tom Ponzi, che negli anni 60 aveva importato per primo in Italia le sue Martini”, tecniche di investigazione ad alto quoziente tecnologico ma che già nel 1948, esattamente cinquant'anni fa, aveva fondato la sua prima agenzia di investigazioni. Con essi sembra simbolicamente finire l’era dei vecchi e romanzeschi “occhi privati”, resi anacronistici dal mutamento dei costumi, dalle leggi sulla privacy e dalle nuove possibilità di osservazione planetaria (il satellite Earlbyrd è stato definito “il primo detective privato spaziale”). E mentre non termina ed anzi aumenta la sensazione di vivere in un mondo in cui ogni gesto e ogni parola possono essere spiati, registrati, fotografati, si impone - nel vertice di Cattolica della nuova triplice Adriatica, che intende conservare qualche traccia degli anni e dei temi del vecchio MystFest - una riflessione sulla figura del detective classico e sulle sue ultime metamorfosi. Così il tradizionale concorso promosso in collaborazione con Il Giallo Mondadori per il premio “Gran Giallo Città di Cattolica”, giunto alla XXV edizione, era riservato quest'anno a racconti inediti ispirati al tema “L'occhio privato e lo sguardo proibito: il detective e la privacy”. Mentre una sezione del programma cinematografico è costituita appunto da un ritratto “a tutto tondo” (film, documentari e un fascicolo monografico) del debordante, discutibile, triste solitario e appassionante Tom Ponzi, colui che ha rappresentato quasi per antonomasia la figura dell’investigatore privato in Italia. Ma se la vita stessa di Ponzi è stata un romanzo, dalla milizia paracadutistica nella RSI ai gesti eroici di stampo neorealista, da un’opulenza da grande industriale della detection alle fughe rocambolesche all’esilio, e se la sua carriera professionale sembra un'antologia dei più celebri casi e misteri delle cronache italiane, la sua rappresentatività lo fa diventare oggi anche uno specchio di cinquant'anni di storia d’Italia, dalla rovina del fascismo alle scazzottate del dopoguerra, dall’identifica- zione fra detective e paparazzo degli anni del boom al coinvolgimento nei primi gialli politico-economici nazionali. Ma soprattutto Tom Ponzi, e per questo un festival di cinema può occuparsene a pieno diritto, è stato un personaggio naturalmente cinematografico. Lui che dichiarava di annoiarsi con i film gialli perchè scopriva subito il colpevole, ha costruito la sua vita e immagine come quella di uno dei grandi “private eye” della fiction poliziesca. E non basta: è stato collezionista di film, che proiettava per amici e familiari nella sua saletta privata, disinvolto interprete di un film per la tv nonchè di vari programmi e documentari televisivi, da quello diretto da Riccardo Fellini nel 1968 a Servizi segreti di Chiambretti e Sanguineti nel 1993. E le sue stesse tecniche professionali che utilizzavano ampiamente cineprese, microcamere, teleobbiettivi e ogni genere di apparato ottico € sonoro sembrano influenzate da una concezione cinematografica della realtà, vista sempre come un Gran Giallo di cui produrre contemporaneamente la documentazione e la fiction.
Obbiettivi puntati[modifica | modifica sorgente]
- Terrazzano, 10 ottobre di Mariso Ravagnoli
- Certainly It's a grubby Business di David C. Rea
- è arrivato l'investigatore di Riccardo Fellini
- Scuola per allievi detective di Mercurius Investigations
- I giovedì della signora Giulia di Massimo Scaglione
- Servizi segreti
- Il detective in cartoon di Tom Ponzi Investigations
La cineteca del detective[modifica | modifica sorgente]
Dalla collezione di Tom Ponzi, comprendente un centinaio di film in maggioranza di guerra e d'avventura, sono stati selezionati quelli di genere giallo o noir più rari o singolari. Essi vengono presentati nelle copie 16 mm. (in qualche caso prive di titoli e sempre in versione doppiata) appartenute all'investigatore, senza dunque alcuna pretesa storico-critica ma solo come esempi del gusto di una persona e di un'epoca e occasioni di piccole riscoperte cinefile contemporanee.
- Roba da matti di Lloyd Bacon
- Chicago bolgia infernale di William Castle
- Lo sconosciuto del terzo piano di Boris Ingster
- L'angelo del ring di Alin Ganzer
- Fra mezzanotte e l’alba di Gordon Douglas
- Passaporto falso di Pierre Montazel
- Il bivio di Fernando Cerchio
- L’investigatore di Gordon Douglas
Convegni[modifica | modifica sorgente]
L'immagine in movimento e il movimento dell’immagine[modifica | modifica sorgente]
Il giorno Sabato 6 giugno, presso il teatro “La Regina” di Cattolica, sì tiene un convegno dal titolo “L'immagine in movimento è il movimento dell'immagine”. Il convegno, della durata di una giornata, prevede la presenza di sei relatori (fra parentesi e in estrema sintesi il nucleo delle relazioni dei convegnisti): Adriano Aprà, critico cinematografico, direttore del Festival di Pesaro (Ciò che è vivo e ciò che è morto nel cinema odierno: la linea sperimentale, la linea del realismo inquieto, la linea “perbenista”); Vincenzo Cerami, scrittore e sceneggiatore (Il movimento dello sguardo e la parola che racconta lo sguardo); Massimo Fagioli, psichiatra, sceneggiatore, alla sua prima regia con il film 1/ Cielo della lima in programma fra le Anteprime del festival (Immagine e rappresentazione. Dire cose mediante luci, colori, forme, figure, linee. Invenzione di immagini nuove anche se di aspetto comune); Enrico Ghezzi, critico cinematografico, direttore del Festival di Taormina; Guido Fink, critico cinematografico, professore di Storia del Cinema all’Università di Firenze (Legibilità e traduaibilità dell'immagine, da parte di chi non fa del cinema ma lo guarda, spettatore o critico che sia, e cerca di “ripensarla” ricavandone o meno un senso a posteriori, cosa che da un lato sembra facile dato che viviamo in un'epoca di inflazione dell'immagine, ma che dall'altra può ingenerare, e di fatto ingenera, pericolosi automatismi, o confusioni, o vere e proprie incomprensioni); Giorgio Tinazzi, critico cinematografico, professore di Storia del Cinema all’Università di Padova (Dopo anni riemerge la necessità di riaffrontare un dibattito sugli aspetti formali del cinema. Opportunità di trovare padri putativi per questa rifondazione formale. Fascino e ambivalenza dell'immagine). Alle relazioni si aggiungeranno alcuni interventi dalla platea Un convegno è un'idea ovvia, quasi di sapore “istituzionale”, può essere luogo di fraintendimenti, divagazioni e ripetizioni, immediatamente associabile a uno stato d'animo di noia e stanchezza. E tuttavia il direttore del Festival Adriaticocinema, Marco Bellocchio, lo ha profondamente sostenuto, non solo perché da molti anni non ci si dedica a un dibattito specifico sugli aspetti formali del cinema, ma anche perché vorrebbe farne una preziosa occasione di ricerca edi confronto, che sorvoli sugli aspetti economici e politici dell'industria cinematografica, già ampiamente dibattuti e sviscerati, ed affronti l’essenza dell’arte in generale, dell’arte cinematografica in particolare...
Si parte dalla constatazione di un'estrema povertà delle immagini del cinema contemporaneo, in particolare italiano, intendendo per povertà la registrazione meccanica dei fatti, l'eccesso di realismo, deprivato della sua autenticità e storicità, la ripetitiva riproduzione di ciò che già esiste nella vita quotidiana o è già stato creato, la scelta di un linguaggio che esaurisce il suo senso nella mera comunicazione narrativa, il tacito rifiuto di una ricerca originale, di una tensione personale, tratto unico e distintivo del filmmaker, per paura di non incontrare il pubblico, per un difetto di invenzione o forse per un’implicita rassegnazione al prodotto medio... Con questo convegno vorremmo proporre una riflessione sulle cause che hanno portato il nostro cinema ad un progressivo inaridimento espressivo, ma anche sollecitare una dimensione propositiva, un cinema che esplori territori più profondi della fantasia e dell'inconscio, che indaghi le possibilità di una bellezza “invisibile”, che si interroghi sul ritmo e il movimento interiore delle immagini in movimento. Guardando alla storia del mezzo, alle poetiche di alcuni registi, a certe aspirazioni programmatiche del passato, forse è proprio entro la sfera dell'invisibile che la settimaarte trova la sua vera natura e vocazione e forse mancando di animarla, rinunciando a far vibrare corde sottili e misteriose, Spende il suo inganno più cinico. Da sempre il cinema ha il suo limite nell'impressione di realtà che offre, nell’oggetto dato, nel corpo dell’attore che mostra, come se gli altri linguaggi fossero più liberi e aperti alla trasfigurazione e alla rivelazione del latente, ma è poi vero questo suo limite ultimo? Se il cinema è a suo modo “la verità 24 volte al secondo”, che tipo di verità comunica e quale tipo di menzogna mette continuamente in scena? Nei vari campi dell’arte, ad esempio nella musica o in pittura, rientra nel percorso di un artista fare evolvere la propria disciplina, perché allora si va spegnendo l’evoluzione della disciplina cinematografica o si confina allo sviluppo delle tecnologie. Per ora non ci sono risposte da dare, l'importante in un dibattito “sul” cinema, come del resto “al” cinema, non è sedare le emozioni, ma provocarne...
La nuova scuola di cinema[modifica | modifica sorgente]
Di Marco Bellocchio
L'attenzione dedicata negli scorsi anni dai festival della riviera alle scuole di cinema da una parte, e al giovane cinema italiano dall’altra, trova quest'anno, nella prima edizione di Adriaticocinema, un importante punto di convergenza. L'occasione è offerta dalla recente nascita della Scuola Nazionale di Cinema, sorta sulle ceneri del glorioso Centro Sperimentale di Cinematografia. Abbiamo pensato ad un incontro in cui sia possibile discutere essenzialmente su due argomenti. Da una parte riflettere sul passato e sul futuro della più importante scuola italiana di cinema: il Centro Sperimentale che negli ultimi tempi, a giudicare almeno dal giudizio degli studenti e dalla scarsa visibilità dei film prodotti, ha vissuto un momento di crisi, di appannamento. Quali sono i problemi che hanno determinato questa fase di stallo, e fino a che punto le caratteristiche istituzionali della nuova Scuola Nazionale possono aiutarlo a riguadagnare un ruolo cruciale per la formazione cinematografica delle nuove generazioni? Dall'altra l’incontro offrirà l'opportunità di discutere sul significato e sulla funzionalità, oggi, di una scuola di cinema. Che cosa vuol dire, insegnare a fare cinema, apprendere il mestiere del cinema, in un'epoca in cui chi per professione pensa e realizza immagini in movimento deve adeguarsi ad un mercato in cui sono richieste competenze ampie e diversificate, legate ad ambiti produttivi di vario tipo (cinema, tv, pubblicità, ecc.)? E ancora, in che misura questo apprendimento può e deve seguire i percorsi formativi classici, propri delle accademie e delle scuole d’arte e di cinema? Tutto questo senza avere la pretesa di dare risposte definitive a questioni che sono, per lo più, complesse e controverse. Nel tentativo, piuttosto, di iniziare a dibattere temi che non potranno non riguardare, negli anni a venire, tutto il cinema.
Film[modifica | modifica sorgente]
- Discorso autonomo di Elisa Bolognini
- Mio padre aveva una Dyane rossa di Sara Pozzoli
Il festival coproduttore[modifica | modifica sorgente]
Che Adriaticocinema partecipi produttivamente a due film di allieve della Scuola Nazionale di Cinema è una novità che dovrebbe essere ulteriormente potenziata nei prossimi anni. Proprio perché un Festival non deve limitarsi a mostrare dei film dopo averli selezionati, ma possibilmente intervenire, contribuire, e non solo con denaro, a che le idee di chi soprattutto non ha ancora la storia o il potere di imporle, vengano realizzate (beninteso quando si crede a queste idee). E in questo caso l’idea di un 68 o di una militanza politica rivoluzionaria, viste e raccontate dai figli dei militanti rivoluziona di allora, è sicuramente uno sguardo nuovo e uno sguardo, per tutte le ovvie implicazioni familiari, caldissimo, partecipante al massimo grado. Auguriamoci che questo piccolo esempi di partecipazione produttiva, ricordando per correttezza d’informazione la Scuola Nazionale di Cinema che è il principale produttore dei due corti e Multithématiques che ha collaborato alla loro realizzazione fornendo la tecnologia necessaria all'edizione, possa diventare un'attività costante anche nelle prossime edizioni di Adriaticocinema.
L’idiota Lezioni di cinema sul tema dell’eroe buono[modifica | modifica sorgente]
Di Marco Bellocchio.
Lezioni, corsi, dibattiti, comunicazioni di esperienze, di come si l cinema sono abbastanza comuni nei festival e nelle rassegne. Non si inventa più nulla se ci si limita a un titolo, la differenza sta nel come si realizza un progetto. E queste nostre Lezioni si distinguono per l'eccellenza dei maestri e per la scelta di un tema che può sembrare evangelico. L'Eroe Buono, con particolare riferimento a “L'Idiota” di Dostoevskij e al suo eroe, il principe Myskin, in realtà vuole contrapporsi a quella che è un’ideologia coerente e dominante, e cioè che gli uomini per natura non sono affatto buoni, che se non ci fossero le leggi si sbranerebbero tra loro, che ci salva la morale e il super-io e, al massimo del positivo, dagli uomini si può sperare una vita piena di conflitti, autoironica e un pò ridicola, un’ambiguità di fondo in cui coesistono il bene e il male e la differenza tra il normale e l’assassino è soltanto legata al caso, alle condizioni sociali, alla quantità di male che è comunque in ciascuno di noi. Pensare oggi a un essere umano naturalmente buono, tendente al bene sembra quasi un'ipotesi extraterrestre (religiosa appunto, Dio sta in cielo, in terra, in ogni luogo...), incomprensibile prima ancora che inaccettabile... Discutere sul principe Myskin, prendere l’Idiota come un personaggio oggetto di ispirazione e di discussione è già intrinsecamente una scelta di rottura... Anche se poi in effetti il marxismo proponeva (uso l’imperfetto per obiettività storica) una bontà umana originaria, da recuperare nel socialismo realizzato. Che poi come sappiamo non è accaduto. I maestri che parleranno di “bontà” e sicuramente anche del suo contrario, sempre a partire da Dostoevskij, non hanno bisogno di presentazioni. Sono: Harvey Keitel, Roberto Benigni, Antonio Albanese, Michele Placido e Domenico Starnone, Vincenzo Cerami, Nicola Piovani. Naturalmente lo spunto verrà elaborato e discusso e sperimentato per gli attori in un modo, per gli scrittori in un altro modo e per il compositore in un altro modo ancora. Queste lezioni sempre con temi diversi e con diversi maestri dovrebbero essere riprogrammate anche nella prossima edizione del festival e potenziate se è possibile, perché corrispondono alla linea generale di un festival che vive proprio di formazione, di partecipazione alla produzione, di discussione teorica, che vorrebbe insomma essere all'avanguardia della ricerca cinematografica e non solo uno spazio di esposizione di film.