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== 1967 L'anno prima == Il cinema sperimentale e industriale, l'emerso e il sommerso, del 1967. Anteprima cinema presenta una selezione parziale di questi film, realizzati allora, in ogni parte del mondo. 1967, un anno davvero particolare, non ancora vissuto pericolosamente. L'anno prima del '68. Eppure Jerry Rubin e Wilhelm Reich già sono stati tradotti da noi. E' il momento, in Italia, delle discussioni accanite tra i fans di Bella di giorno e di Blow up, tra quelli che rischiano il gioco al massacro della perversione estrema, della ‘personalità multipla dentro se stessi", o che giocano ancora con le perversioni cerebrali e il riequilibrio del soggetto, dell'lo scisso. 1967, è anche l'anno della nascita della Cooperativa Cinema Indipendente, affiliata al New American Cinema, disgustata dai modi di produzione industriali e affascinata dal progetto, narcisistico e politico, di rovesciare gli artisti dal piedistallo e scaraventare l'arte, situazionisticamente, nella vita dietro allo slogan: ‘siamo tutti tutti artisti’. 1967, l'anno della comparsa di La presa del potere di Luigi XIV (solo in tv) e L'Harem, La Cina è vicina e A ciascuno il suo, La bisbetica domata, il miglior film di Zeffirelli, e Edipo re, Lo straniero e II giardino delle delizie, l'esordio di Silvano Agosti. Il cinema colto e il cinema popolare vanno alla scissione. Incomunicabilità totale. L'industria italiana in mano a strani figuri ne risentirà, non sarà più in grado nei decenni successivi di assorbire i succhi creativi fertili e indipendenti, forse definitivamente. E' un momento magico, dentro e fuori le sale cinematografiche. L'Italia sta per vivere gli ultimi splendori della Cinecittà classica, che sarebbe già capace anzi, ma non se ne accorge e nessuno l'aiuta, di precorrere i tempi. | nostri sub-musical, western spaghetti, horror estremi, avventurosi visionari, film "alla 007", fantascientifici a budget zero, film-fumetto e polizieschi, per lo più coprodotti con la Francia, a basso costo e alto ingegno, sono testi sacri pop per i filmakers d'oltre manica più anticonformisti. Landis e Scorsese, Demme e Dante, Carpenter e Waters, Henenlotter e Bartel, Spielberg (che già vi vede ET. e Indiana Jones) e Lucas, coloro cioè che guideranno poco dopo l'immaginario, per la prima volta planetario, globalizzato, fino alla fine del secolo, intanto studiano, e prima di Quentin Tarantino, Lucio Fulci (Come rubammo la bomba atomica), Antonio Margheriti (La morte viene dal pianeta Aytin), Steno (Arriva Dorellik), Jess Franco (Agente speciale LK.), Giovanni Fago (Per 100 mila dollari ti ammazzo), Sergio Sollima (Faccia a faccia), Piero Vivarelli (Mister X), Riccardo Freda (Moresque, obiettivo allucinante e La morte non conta i dollari), Ugo Tognazzi (Il fischio al naso), Sergio Corbucci (Bersaglio mobile e | crudeli), e Vittorio Cottafavi, Mario Bava e Giulio Questi. Intanto. Siamo agli ultimi bagliori del crepuscolo hollywoodiano. Un attimo prima dell'insorgenza definitiva della "new Hollywood", della generazione dei decostruttivisti (Coppola, Altman, Woody Allen, Ashby, Peckinpah, Rafelson, SchatZberg, Pakula, Mulligan, Peerce, Pollack, Roy Hill...). E tenendo da parte chi fa cinema direttamente rivoluzionario: gli underground; lo spaesato britannico Boorman; Theodore). Flicker, il cineasta sostanzialmente di un solo film e punito per averlo realizzato come voleva; i newyorkesi volanti come Cassavetes che catturano il respiro asmatico e nevrotico della metropoli; Orson Welles e Jerry Lewis. Sono proprio nel loro momento più "cool" i grandi vecchi dello studio system, che hanno appena fatto, o gireranno tra breve, il loro ultimo film, come Cukor, Minnelli e Ford. Da Howard Hawks (E! Dorado) a Sam Fuller, da Nicholas Raya Billy Wilder, da Elia Kazan a Robert Aldrich (Quella sporca dozzina), da Blake Edwards (Gunn) a Anthony Mann, da Stanley Donen (Bedazzled) a Otto Preminger (Hurry Sundown), da Frank Tashlin (Caprice) a Charlie Chaplin (La contessa di Hong Kong), da Henry Hathaway (The last safari) a John Huston (Riflessi in un occhio d'oro), da Phil Karson (A time for killing) a Mitchel Leisen (Spree), da Anatole Litvak (La notte dei generali) a Don Siegel (Madigan), da John Sturges (Hour of the gun) a Leslie Martinson (Fathom), da Arthur Penn (Bonnie and Clyde) a Richard Brooks (A sangue freddo) e al "fuori gioco" Joseph Losey (L'incidente). Tranne quest'ultimo, definitivamente esiliato a Londra, sono cineasti che ci danno nel 1967 le loro opere più esizialmente perfette e curate, dai cromatismi e dal significato più barocchi, dai tempi perfetti: puro catalogo mozzafiato degli stereotipi, dei generi, delle seduzioni più glamour, dei movimenti di macchina più elaborati e delle tecniche prodigiose della Hollywood di fase bizantina (la Viennale del 1994 proprio al cinema "cool", quello realizzato nella decadenza di Hollywood, tra il 1958 e il 1968, data di nascita della “new Hollywood", ha dedicato la sua bellissima retrospettiva). Tutti quegli elementi sono pronti all'esplosione ma eccoli qui congelati, fermati nell'eternità, per sempre. Eppure, anche in quei capolavori della crisi, la magia del ‘deja vu' riesce: il racconto è mistero, l'immagine è sogno, l'onirismo insomma resta miracolosamente fluido e equilibrato, ogni dettaglio è studiatissimo. Manca l'errore. Mentre chi attacca Hollywood frontalmente cerca il jamais vu', squilibri, anarchie, errori, smascheramenti, rimasticamenti, decentramenti, ribaltamenti, innesti e confusioni di generi, disarmonie, distruzioni. Lo vedremo anche nelle opere di Snow, McBride, Goldman, Lewis, Boorman, Flicker, che valorizzeranno il superfluo invece del sostanziale, il doppio invece dell'originale, l'interpolazione invece del ‘filo conduttore’. Estrarranno, da immagini che disturbano e non consolano, il dolore, la violenza e la follia che nel genere ferreo della produzione in serie di sogni sono stati mimetizzati, occultati. E che intanto nella realtà, nella vita, nei ghetti neri esplodono, bruciano. Siccome l'ordine imperante è strutturalmente disordinato (già il ‘Rossellini televisivo' incolpava l'anarchia catastrofica dello sviluppo capitalista responsabile del genocidio per fame, facilmente evitabile date le risorse, della quasi intera umanità), si cercherà con l'arte, di introdurre caos nell'ordine lo scrive Adorno. Lo praticherà il controcinema, con maggiore rabbia Glauber Rocha, da allora fino alla sconfitta, un decennio dopo. Nasce e si esaurirà in quel decennio 1967-1977, infatti, anche il cinema militante. Chris Marker nel 1978 ne tesserà l'elogio funebre in Le fond de l'air est rouge, sottotitolo Scénes de la troisiéme guerre mondiale 1967-1977. Dando la palla, da allora, al consumatore di immagini liberato (almeno lui): che ordini in modo diverso gli elementi proposti, che non caschi più in alcun trabocchetto ideologico, etico, religioso, contenutista, formalista; che 4 inventi un immaginario interattivo attrezzato, fantasioso e non celibe. Poteva essere l'era della rivoluzione, è stata almeno l'era di David Lynch e Quentin Tarantino 1967. Viviamo intanto in Europa la miaturità delle nouvelles vagues -Francois Truffaut gira Farenheit 451 e diventa il regista francese numero uno, non è più outsider- penetrate anche nei luoghi più difficili da sconsacrare, come Bucarest, Mosca, Praga e Belgrado, nascono nouvelles vagues, con un po' di ritardo, perfino nel Medio Oriente e nel Bengala...Fassbinder deve ancora realizzare la sua opera prima. Abbiamo scelto qualcosa di ciò che fu prodotto in quell'anno anche dai tre mondi extraoccidentali (Glauber Rocha, Nagisa Oshima e Shohei Imamura, per esempio) o che arrivò in Italia in qualche modo. O di cui allora si discusse. Nei club off, come il Filmstudio di Roma, dove approdava prima o poi la produzione alternativa di tutto il mondo, ed erano di casa Straub, Warhol, Markopoulos, Mekas e Brakhage. O ciò che fu analizzato (e magari visto dal pubblico normale molto dopo o mai) nelle riviste di tendenza, come “Cinema e film," cui molto dobbiamo nella scelta di questi film, e che apparve folgorante proprio nel 1966-1967, come Echi del silenzio di Peter Goldman, che pure fu realizzato nel 1965, o il più visto Le Samourai di Jean Pierre Melville. === 1967, l'anno unico === Di Roberto Silvestri. Come nei terremoti devastanti. Si spacca la terra, da una parte c'è il vecchio che ci abbandona per sempre, dall'altra c'è un nuovo magmatico e misterioso che avanza. In mezzo c'è il 1967 e qualche dinosauro sbruciacchiato dalla lava incandescente che, forse, sopravviverà e trasmetterà memoria genetica... L'antagonismo sociale dei primi giovani diseredati metropolitani, a Mosca come a Tokyo, ha già fatto sentire la sua voce, ma è ancora solo teppismo isolabile, facile da controllare e degradare a gang criminale. Sfugge il contro design del consumo soprattutto giovanile di massa, però, e criptici sono i segnali telepatici di comunicazione tra teenagers polimorfi che liberano i loro corpi, stranamente disincarnati, nel rock che dilata la coscienza, nel viaggio beat (dentro e fuori di sé), nella transmentalità lisergica, nel sesso zen, nelle religioni non comandate...del 1967 sono i seguenti film beat-rock: Catalina Caper di Lee Sholem con Little Richard, Clambakedi Arthur H. Nadel, Easy Come Easy Godi John Rich e Double trouble di Norman Taurog con Elvis Presley, il juke box musical C'mon let's live a little di David Butler con Jackie DeShannon e Bobby Vee, The cool ones di Gene Nelson con Glen Campbell, Don't make waves di Alexander Mackendrick con Claudia Cardinale e i Byrds, Four stars di Andy Warhol con i Velvet Underground, Good Times di William Friedkin con Sonny and Cher, The Greadful Dead di Robert Nelson, Here we go round the Mulberry Bush di Clive Donner con The Spencer Davis Group, How | win the war di Richard Lester con John Lennon, it's a bikini world di Stephanie Rothman e The Animals, Magical Mystery tour dei Beatles, Riot on Sunset Strip di Arthur Dreifuss con Chocolate Watch Band and The Standells, Separation di Jack Bond con i Procol Harum, Tonite let's all make love in London di Peter Whithead con Small Faces, The trip di Roger Corman con Mike Bloomfield, Up the Junction di Peter Collinson con Manfred Mann. Tanto per capire quale era la colonna sonora, tanto per ricordare l'Impero di Bandiera Gialla, di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. Il pianeta, inoltre, non accettava il bipolarismo. Rangoon e il movimento dei non allineati ricordano che non tutti i popoli, il vietnamita, per esempio, o l'indonesiano (appena sterminato: mezzo milione di persone) sono docili alle manovre delle multinazionali e dei suoi eserciti e che il modello delle “democrazie popolari" e della sovranità limitata sia iniquo e catastrofico, salta all'occhio di chiunque, a sinistra, e fin dall'inizio. Le lotte di fabbrica in tutto il mondo industriale, nei primi anni'60, hanno già dato lo ‘start', e il primo vero segnale inquietante. Una forza lavoro a basso costo e a professionalità zero, ma a circolarità mille, da sfruttare sadicamente ovunque, è diventata l'operaio massa multinazionale incontrollabile, soggetto antagonista che darà un bel filo da torcere: ispanico e nero in Usa; maghrebino, turco, italiano, spagnolo e portoghese in nord Europa. Un ‘mostro’ che cambierà il mondo, cercherà con le sue lotte di istillare un po' di civiltà responsabile ovunque, e farà tremare il vero Mostro, il Dominio del Capitale, privato, di stato o di corporation. Anche perché le operaie della casa, nel frattempo, fanno saltare anche l'ultimo luogo di comando del ‘maschio sposato con prole' creando non pochi problemi agli equilibri simbolici dei film a venire. Ma, nel 1967, il ‘mostro' sta solo per toccare la maniglia... Le nouvelles vagues nazionali, europee dell'est e dell'ovest, ma anche indiane, dell'America Latina e dell'Estremo Oriente, da dieci anni, dal 1958, stanno intanto provocando un maremoto rovinoso, mentre l'immaginario africano emette i primi vagiti alternativi. Giovani filmakers ambiziosi e determinati, in cerca di aria pura e iconoclasti, visionari e pieni di talento, patricidi conseguenti, si sono sbarazzati della tecnica dei registi anziani, dei generi polverosi e abusati, dei modi di produzione rigidi e paralizzanti, della lavorazione in studio, del sistema divistico antiquato, della commedia che non fa più ridere, del dramma che non dà più emozioni. Dei cinema di papà autoritari, gerarchici, letterari, ottocenteschi. Hanno adisposizione armi teoriche raffinate per dichiararlo morto, sepolto dalla banalità. Il formalismo, lo strutturalismo e la semiologia. Il cinema di papà, analizzato, è smascherato. Falso, pericoloso, noioso, da museo. Hanno a disposizione tecnologie leggere per prescinderne. Ed ecco gettarsi, zavattinianamente, al fianco di Jean Rouch o dei fratelli Maysles, per le strade con troupe minimaliste e 16mm o 8mm o 35mm usati come ‘camera stylo', ‘cinema verità', cinema diretto, cinema personale... cinema che racconta un'altra realtà, lontana da quella tangibile, più chiara, individualmente: Andy Warhol ha un anno intenso: /, a man, Bike boy, Nude restaurant, Four star 24 hours movie e Imitation of Christ. Imitando i documentari sociali delle tv più critiche, come la BBC; portando l'osceno al livello della nostra comprensione critica, visto che la pornografia ha ormai diritto di accesso libero nelle nostre fantasie; cercando aria pura e fresca per sfuggire all'anidride carbonica delle immagini elettroniche intossicate. E non lavorano in nome del ‘nuovo', per uno spettatore che non c'è ancora, come fanno Straub e Godard, ma a cominciare dall'anno successivo, ma per rimettere a posto alcune cose vecchie da recuperare, restaurare. Le ‘avanguardie storiche', per esempio. Non sono bastate due guerre mondiali a cancellarle, a digerirle. Tutto ricomincia da Dziga Vertov, Vladimir Vladimirovic Majakovskji, Hans Eisler. Ricomincia da quel testo che Dusan Makavejev consegna ai critici assieme al suo film Uno questione di cuore. "Come un libro, il film deve essere letto tra le righe. E tra le righe non c'è nulla. Il mezzo è il messaggio. Non esistono grandi artisti che non abbiano provato a descrivere l'atto sessuale. Il problema era fare un film in cui avessero massima importanza il fascino della nullità, gli istanti senza senso, la gente che non pensa. Che fosse una storia d'amore simpatica, comica, semplice, buffa, erotica e un po' nevrotica, come ogni rapporto umano. L'immagine deve soddisfare lo spettatore, dargli la “gioia di vedere" e nient'altro. E il suono deve aggiungere a tutto ciò che è privato e grazioso una dimensione storica. Gli strutturalisti sono gentilmente pregati di far speciale attenzione ai seguenti elementi: a) i topi; b) il rapporto tra “signifié" e “signifiant"; c) la rivoluzione. ‘L'arte è tutto ciò che si può far passare come tale': Marshall McLuhan"(Dusan Makavejev). === I film === * [[The big mouth]] (Il ciarlatano) di Jerry Lewis * [[La chinoise]] (La cinese) di Jean-Luc Godard * [[La Cina è vicina]] di Marco Bellocchio * [[Echoes of silence]] (Echi del silenzio) di Peter Goldman * [[Echoes of silence]] (Echi del silenzio) di Peter Goldman * [[Lapis]] di James Whitney * [[Ljubavni Slucaj Ili Tragedija Sluzbenice P.T.T.]] (Un affare di cuore, ovvero la tragedia di una postelegrafonica) di Dusan Makavejev * [[Loin du Viet Nam]] (Lontano dal Vietnam) di Alain Resnais, William Klein, Joris Ivens, Agnés Varda, Claude Lelouch, Jean-Luc Godard * [[Marat/Sade]] di Peter Brook * [[Nihon shunka-ko]] (Sulle canzoni sconce giapponesi) di Nagisa Oshima * [[Ningen johatsu]] (Evaporazione dell'uomo) di Shohei Imamura * [[Point Blank]] (Senza un attimo di tregua) di John Boorman * [[The president's Analyst]] (La folle impresa del dottor Schaefer) di Theodore J. Flicker * [[Privilege]] di Peter Watkins * [[Le règne du jour]] (Il regno del giorno) di Pierre Perrault * [[Terra em trance]] di Glauber Rocha * [[Wavelenght]] (Lunghezza d'onda) di Michael Snow
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