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== Ha ballato una sola estate... == Di '''Daniela Ceselli, Francesca Pirani''' Abbiamo cercato un'immagine e non un'idea per il titolo di questa rassegna sul ‘68, per non legare la ricerca sulla cinematografia di quegli anni ad un giudizio . Ha ballato una sola estate... è un'immagine che ovviamente nasconde un pensiero, mala cui vaghezza stimola a ricavare un'idea più ricca di umori, di domande, di poesia. Il film di Mattson, completamente dimenticato, propone un'immagine di ragazzetta, legandola al desiderio, alla bellezza, alla giovinezza, ma anche all’impossibilità della sopravvivenza di queste dimensioni umane. Sogno effimero di una notte d'estate... non resisterà alla fine di questa stagione, perchè la norma, la vita reale, quotidiana, sono fatte di un’altra materia. Allora la ragazzetta, come Ifigenia, muore, deve morire, sacrificata al pensiero religioso, per cui è necessario compiere questo rituale, per mantenere saldo il rapporto certo con la realtà. I registi di quegli anni colgono il potere eversivo di questa immagine e la ripropongono in maniera emblematica. Ovviamente già esistevano Giovanna di Dreyer, Lu/ì di Pabst e poi Carmen, Manon, Traviata e un elemento nuovo che vi si lega è senz'altro la ricerca di un superamento della forma narrativa, ovvero la ricerca di una maggiore libertà del linguaggio filmico, per andare verso una destrutturazione della storia e del tempo del racconto. Il tentativo è quello di infrangere la barriera che separa il sonno dalla veglia, il sogno dalla realtà, il pensiero conscio dal pensiero inconscio: sembra maturato il momento, per cui ciò che prima era improponibile, ora è diventato possibile... Dall’euforia di questa sensazione però, non si formano immagini nuove, ma si affacciano sullo schermo sinistre immagini di fallimento: nel prologo di Andrej Rublev (1966) un uomo si solleva dal suolo con un pallone gridando: “volo, volo!”, per schiantarsi a terra poco dopo. Materializzare il sogno, dare corpo all’utopia, fare della rivolta alla norma una prassi quotidiana, questo ciò che viene detto nelle università, scandito nelle piazze, scritto sui muri. Ma allora, perchè ciò che viene rappresentato racconta di una catastrofe senza scampo?... Il tema del suicidio è presente in un’innumerevole schiera di film: da Bresson a Resnais, da Cassavetes a Skolimowski, Godard, Truffaut, Ousmane... Altrimenti la morte giunge dall'esterno, una morte subita, tentata, inseguita: Easy Rider, Zabriskie Point, L'incidente, Rain People, Treni Strettamente sorvegliati... Il sogno si deteriora, si fa irreale, falso, sino a decomporsi e diventare malattia, follia: la maschera aderisce al volto di Morgan che non riesce più a ripercorrere la strada verso se stesso, restando impigliato nella sua fantasticheria. “Il ‘68 mori con il ‘68; la rivoluzione culturale non aveva fatto un bambino. I giovani non erano riusciti a sognare. Addormentati nello stato di veglia scambiarono la realtà per un sogno e, non riuscendo a dormire davvero per aver abbandonato la realtà, scambiarono i sogni con la realtà. Dormienti, ebbero paura della realtà esistente e l’aggredirono senza rifiutarla veramente, insonni, ebbero paura dei sogni e li negarono senza comprenderli”. (M. Fagioli, Le notti dell'isteria). E in questo senso la Storia Immortale di Welles diventa una grande metafora : se non si cerca di far vivere i sogni è la morte, ma se si realizzano è la follia... Il giovane William, ingenuo e “cieco” protagonista de L'Incidente, muore per non saper vedere e rifiutare la complicità fra l’indifferenza di Anna e la fatuità omicida del suo professore. Ne La femme douce, la protagonista scivola nella depressione e si suicida per essersi sottomessa alla freddezza asessuata della ragione. In Vita di Famiglia Bella va incontro al dissolvimento dei confini dell’io, mentre il fratello Witt abbandona qualsiasi ricerca sulla propria identità, per rassegnarsi all’ineluttabile destino dell’identificazione con il padre. Quello che colpisce in tutte queste storie è in fondo la mancanza di idee nuove, originali, e la sostanziale continuità con il passato, con i luoghi comuni di una cultura millenaria. La follia vista come ritorno allo stato animale (Morgan...) o come terribile affermazione di individualità nel processo rivoluzionario (Marat- Sade); l'impossibilità di una regressione, foriera di un angoscioso sgretolamento (Je t'aime, je t'aime); il rischio mortale che comporta l'emergenza del desiderio (Elvira Madigan); la sconfitta di coloro che tentano una separazione da dimensioni vecchie, distruttive, false (Abschied von Gestern, If.., Faces). E se dei pensieri così vecchi alimentano il cinema di quegli anni, viene immediato pensare che non potevano nascere immagini nuove, Originali, e che tutt'al più si poteva giungere alla rappresentazione del già esistente, senza arrivare alla creazione di un linguaggio che esprimesse veramente una rottura epistemologica. l registi più geniali raccontano dell'emergenza storica di una possibilità umana, qualcosa di latente, di inespresso che sta affiorando: la fine della supremazia della ragione, del rapporto positivistico della realtà, il volgersi alla fantasia umana come immenso patrimonio a cui attingere, diverso orizzonte evolutivo. Ma l’immagine nuova non si forma, resta allo stato di impulso, di vaga intuizione subito negata: lascia il suo posto a una creatura sciancata, un mendicante figlio di un dio minore che, non avendo raggiunto la fantasia, vaga dubbioso nella terra di nessuno della fantasticheria, dell’allucinazione, del delirio. Pesava sui registi di quegli anni e su tutta una generazione l'alleanza con un pensiero, con una cultura che sembrò rivoluzionaria, originale, ma che in verità impedì loro una nascita: le idee gonfie di nulla si posarono leggere sulla loro giovinezza e gli chiusero le vie del respiro. Il movimento studentesco a Berkeley, i fermenti di rivolta in Cina e in Giappone, il Maggio francese, l’Ottobre polacco, la Primavera praghese... c'è nel corso degli anni sessanta (pur con le debite differenze, connesse alla realtà politica di ciascun paese), una volontà di rottura radicale con il mondo dato, una speranza di trasformazione, affidata alla fantasia, all’immaginazione, allo slancio individuale e collettivo che 'accompagna al rifiuto dell’esercizio di potere del maestro sull’allievo, al sovvertimento delle istituzioni, dei rapporti gerarchici, dei vincoli burocratici ed economici, sfida all’impossibilità di essere, agire, comunicare, confidando in un'intuizione, in un'energia, piuttosto che in un modello, desiderio di inventare una prassi muova, legata all’intersoggettività, alla fisicità, alla spontaneità espressiva... Sia che si interpreti il ‘68 come irruzione della giovinezza sulla scena politico-sociale, “festa nel quotidiano” o rappresentazione indiretta dell'“assassinio dei padri”, sia che lo si interpreti come conflitto di classi di tipo nuovo o rivolta contro il dominio e l'integrazione, o ancora, crisi dell’Università o crisi di civiltà, non avente di mira un regime, o solo il regime, ma la “società dei consumi” in generale; il ‘68, e gli anni che lo preparano, con la sua impronta di non direttività, il suo portato di energia, di disinibita esuberanza, la sua ricerca espressiva, l'emergere di una libertà nuova che lascia intravedere possibilità nuove, si esaurisce ben presto... è l’amore di una sola notte. L'azione rivoluzionaria non è fabbricazione di un avvenire, non coincide con l’elaborazione di una nuova teoria, di una nuova metodologia di confronto con il reale, ma consiste unicamente nello “scompaginare i piani”, “abbattere le paratie”, “rende- re mobili le cose” (C.Lefort, La Briché). Si è sottolineato che dopo il ‘68 il mondo non è più lo stesso, che le istituzioni mutano completamente (scuola, fabbriche, ospedalì), ma al minimo e doveroso cambiamento, spesso di facciata, impresso alle istituzioni, non corrisponde un massimo di cambia- mento dell’uomo; il movimento hainsé il proprio fine e la propria fine, il suo senso si esaurisce in ciò che esso è: l'apertura di una breccia che immediatamente si richiude... paura, vincoli culturali, difetto di comprensione. E non a caso il tema del suicidio, che abbiamo voluto sottolineare in questa piccola rassegna, è l'immagine emblematica e sottesa di un malinconico ripiegamento su posizioni di sconfitta: materializza e suggella l’insopportabile disperazione dell’utopista, del sognatore, dell’uomo che tenta un rifiuto aperto nei confronti del mondo dato, e, non riuscendo a modificare il reale, schiacciato da una depressione Insostenibile, elimina fisicamente se stesso, “E loris dello spirito rivoluzionario” (che Calvino già individuava negli anni ‘50). Rivoluzionario è chi non accetta il dato naturale e storico e vuole cambiarlo, e questo indubbiamente c'era come aspirazione, ma viene meno come modalità. Proprio nel corso del fatidico anno lo slancio iniziale si placa, il sorriso si irrigidisce in una smorfia, l'interesse si assopisce, la ribellione diventa gesto di maniera, viene meno la fiducia nell’indirizzare il corso delle cose. Forse era troppo difficile e doloroso sostenere l’incertezza della destrutturazione della società in quanto tale, il sovvertimento delle re- gole, il superamento della norma sancita dalla storia: non restava più un “qualcosa” da scoprire, un assetto paralizzante da superare, una visione del mondo da criticare; occorreva un “oltre” da inventare e per inventare un oltre ci voleva molto coraggio, troppo... Studenti rivoluzionari, su una lavagna nomi di drammaturghi, scrittori filosofi vengono cancellati ad uno ad uno, Sartre per primo... polvere di gesso... sul fondo nero non resta scritto che il nome di Brecht. Così nella Chinoise di Godard, film del ‘67, non inserito in questa rassegna, come altri film emblematici di quegli anni, più visibili, quali 2007: Odissea nello spazio, Jules et Jim, Blow-up, Easy Rider, 1 pugni in tasca... All'estremità opposta del globo, Oshima, in Diario di un ladro di. Sbinjuka (*68), rappresenta il percorso iniziatico di due ragazzi, coincidente con la scoperta della sessualità, e fa dire a Torio: “..Noi non siamo mendicanti, in realtà siamo ladri. Tanabe non l'aveva capito. Per questo non si è unito ai nostri giochi di ladri. Umeko voleva rubare la virilità a Tanabe, e contemporaneamente 10 volevo rubare il sesso a Umeko. Ma il piano non è andato a segno. Lui non ha voluto unirsi a noi. Ha tentato di dirci tante cos, ma in realtà non ci ha insegnato un bel nulla... Tutta la cultura ufficiale, impersonata da Tanabe e dai suoi amici, non è servita niente: essi non fanno altro che tentare di svuotare di significato, ora paternalisticamente, ora violentemente, l’anarchica ribellione dei due giovani protagonisti. Immagini emblematiche, rifiuto dei maitres a penser... dove non piombano i carri armati con la loro violenza bruta, spesso sono l’astuzia dell'ideologia, il principio dell’organizzazione politica, la ragione astratta, il linguaggio coltivato in vitro, la delegittimazione filosofica dell’io, invisibili paletti fissati contro la presunta “minaccia” dei giovani in movimento, a tagliare le ali, a isterilire l'immaginazione, a rendere anemica la ribellione... Da R. Aron, La Revolution introuvable: “La intelligentsia degli anni sessanta aveva come dio non più il Sartre del dopoguerra, bensì un misto di Lévi-Strauss, Foucalt, Althusser e Lacan” (gli epigoni dei tedeschi Nietzsche, Heidegger, Freud, Marx). I nuovi intellettuali da una parte sembrano eliminare ogni tentazione metafisica, suffragare la creazione di una nuova estetica, indagare i significati e le forme del linguaggio, fondare un nuovo concetto di uomo e di umanità, ma dall’altra si avvalgono delle aspirazioni altrui, per produrre contro la volontà dei protagonisti, una risultante fondamentale: la paralisi della fantasia e del desiderio di conoscenza, la messa in crisi del rapporto con la realtà, la polverizzazione dell'io, recettivo, sofferente e agente... Riescono a rendere convincente la formula per cui “non esistono fatti, esistono solo interpretazioni” (Lacan): e certo sarebbe stato bello ottenere solo splendide rappresentazioni e valide interpretazioni, il ‘68 aveva fame di immagini, di suoni, di segni nuovi, male interpretazioni del reale spesso generano solo confusione e rassegnazione, e le rappresentazioni, incluse quelle impresse sulla celluloide, sono frequentemente mortuarie, immagini di sconfitta individuale, di omicidio, di suicidio, di follia... Quasi che alla liquidazione delle norme, o meglio alla critica e al dubbio assunti come norma, anzichè legarsi un anelito alla ricerca, si leghi la polverizzazione del soggetto, capace di dare un senso al proprio agire, fino ad una sorta di neonichilismo che affossa cupamente la tensione al nuovo. La libertà di pensiero, sessuale, espressiva, l'emancipazione dell’individuo, l'intuizione di un mondo irrazionale e inconscio, non necessariamente distruttivo, sono tensioni reali e forti negli anni Sessanta, ma presto si tramutano in una specie di opacità dell'io di fronte a se stesso, di impossibilità costituzionale a imprimere movimento alla storia, alla vita, all’arte. E allora risulta meno incomprensibile il futuro dei “sessantottardi”, che, secondo Aron, usciranno da questa situazione di disgregazione, non già aderendo a un “ordine sostitutivo” o un'ipotesi di ricerca alternativa, bensì con l'indifferenza, la violenza agita, il cinismo o ancora, la diserzione dal politico, l’individualismo edonistico, la fine dei dibattiti pubblici, un approccio cool e razionale alla vita, una coscienza toccata da tutto e da nulla, eccitata e indifferente... * [[Ha ballato una sola estate]] di Arne Mattsson * [[SInco v sieti]] di Stefan Uher * [[Nicht versòhnt oder Es hit nur Getwalt, wo Gewalt herrscht]] di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet * [[Walkover]] di Jerzy Skolimowski * [[Morgan matto da legare]] di Karel Reisz * [[La Noire de...]] di Sembène Ousmane * [[La ragazza senza storia]] di Alexander Kluge * [[Elvira Madigan]] di Bo Widerberg * [[Marat-Sade]] di Peter Brook * [[Je t'aime, je taime]] di Alain Resnais * [[Lucia]] di Humberto Solàs * [[Storia immortale]] di Orson Welles * [[Une femme douce]] di Robert Bresson * [[If...]] di Lindsay Anderson * [[Zycie rodzinne]] di Krzysztof Zanussi
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