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==== L'ideazione e la progettazione di Bronte: Florestano Vancini, il regista ==== di '''Pasquale Iaccio'''<ref>Pasquale Iaccio, ''Cinema e storia. Percorsi immagini testimonianze'', Liguori Editore, Napoli, 2000, p. 414 ss.</ref> “Per parlare di questo film devo partire da molto lontano e ricordare il mio rapporto con Giovanni Verga. Ho scoperto Verga mentre ero studente, negli anni quaranta, quando eravamo in pieno fascismo, e ho cominciato a coltivarlo ben oltre i miei doveri scolastici. Per me rappresentò un momento importante di formazione culturale. Verga, inoltre, diventava in quegli anni modello per il gruppo che si andava formando attorno alla rivista “Cinema” e che era il nucleo dei futuri autori del cinema italiano del dopoguerra. Su Verga, De Santis, Lizzani, Pietrangeli, Visconti, Antonioni, costruiscono le basi teoriche di ciò che sarà poi il neorealismo e cioè l'attenzione alla realtà, al mondo del lavoro, alla quotidianità per superare tutti gli orpelli che la cultura fascista aveva messo in campo in quegli anni. Quanto a me, liceale, mi colpisce in particolare una novella, Libertà, nella quale coglievo un Verga diverso da quello delle novelle rusticane e anche da quello dei romanzi. Lui era generalmente preciso e attento alla topografia, oltre che alla geografia, dei luoghi. Era solito nominare località che probabilmente non esistevano nemmeno nelle mappe, per il gusto di calarsi nella piccola realtà di un mondo minuto, quasi di formiche, che spesso raccontava. Libertà, invece, era per me una novella misteriosa, parlava di un paese delle montagne dove dei contadini si sarebbero scagliati contro i padroni, non si capiva quando, nun si capiva deve. La vicenda, stranamente, non era collocata in un luogo preciso. Ad un certo momento arrivava un generale misterioso che faceva dormire i suoi uomini nella chiesa, poi c'era una specie di rappresaglia. Ma cave? Come? Perché? Passò del tempo e negli anni cinquanta comincio a fare cinema. Arrivato a Roma, con un produttore di documentari, pensai ad un progetto di tre documentari da fare in Sicilia e li girai subito dopo. Non ero mai stato in Sicilia prima d'allora. Il mondo dell'isola, la cultura, la storia mi appassionarono molto. Approfondii tutta la narrativa siciliana: Capuana, De Roberto e poi Pirandello... Era il ‘51 e girai un documentario su Verga, su i luoghi e le figure di questo autore per me così importante. L'altro documenta- rio riguardava un paese sul Tirreno rivolto verso le Eolie vicino Sant'Agata di Militello. [...] Quando mi trovavo a Catania, che costituiva la base operativa per i nostri documentari, avevo già l’idea di fare qualcosa che riguardasse questo autore. Non il Verga del mare, cioè I Malavoglia, anche perché, pochi anni prima, Visconti aveva girato ''La terra trema''. Non potevo tornare ad Aci Trezza per un film dello stesso genere. Andai a visitarla ugualmente, in una sorta di doppio pellegrinaggio: per Verga, che amavo già da molto tempo, e per ''La terra trema'', che avevo visto qualche anno prima. Decisi allora di fare un documentario dedicato al fronte “rusticano” della Sicilia, da girare quasi tutto nella zona di Vizzini. Durante le riprese dormivamo a Catania perché a Vizzini non c'era albergo. E proprio a Catania mi capita di conoscere un professore di lettere. Naturalmente ci mettiamo a parlare di Verga e io gli chiedo di spiegarmi i lati oscuri della novella Libertà. Gli faccio il discorso che ho fatto prima. Verga sempre così preciso... E lui mi fa: “Ma come. Non lo sa? Bronte...”. E così mi racconta di Bronte nel 1860, un paesino vicino all'Etna, eccetera. Insomma mi dà molte informazioni e le risposte che aspettavo da quando ero liceale. Da allora non ho abbandonato più l'argomento. Negli anni successivi continuavo a fare ricerche. Intanto vado avanti nella mia attività nel mondo del cinema finché non giunse l'ora del mio primo lungometraggio nel 1960. Dentro di me, però, coltivavo sempre l'interesse per la Sicilia al punto che, mentre giravo La lunga notte del ‘43, continuavo a lavorare alla sceneggiatura di Bronte, che avrebbe dovuto essere il film successivo. Secondo i miei piani, in accordo anche con un produttore, avrei dovuto girarlo immediatamente dopo La lunga notte del ‘43. Invece questo copione, che era già pronto nel ‘61, giacque in un cassetto per nove anni, fino al 1970. Il film infatti fu girato solo nell'estate del 1970 con il contributo della Rai. Quando nel ‘69 mi fu offerta, quasi casualmente, la possibilità di realizzarlo con l'intervento della Rai, naturalmente colsi l'occasione al volo... Finalmente avevo l'occasione di realizzare il mio vecchio progetto, ma, per vederlo ultimato, dovetti penare ancora parecchio. Infatti, a lavoro finito, i dirigenti della Rai rimasero scioccati da alcune immagini del film ed ebbero molti dubbi e molte perplessità a mandarlo in onda, non si decidevano a sbloccarlo. Alla fine, consentirono a me e al produttore, che era Mario Gallo, di rimaneggiarlo e farne un'edizione un po’ più breve per poterlo collocare nelle normali sale cinematografiche. Ci diedero, così la possibilità di tornare alla versione iniziale del film, ripristinando il mio progetto originario. E infatti rimontammo il lavoro in una versione che è poi quella conosciuta. La versione Rai non è stata mai più mandata in onda. [...] ''Può brevemente riassumere l'episodio di Bronte?'' Era un episodio completamente ignorato. Sa il titolo preciso qual è? ''Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno mai raccontato''. Non era stato mai raccontato, non solo dai libri di storia delle scuole, ma neanche dalla grande storiografia. Nel 1960 l'Italia festeggiava il centenario dell'Unità con grandi celebrazioni a tutti i livelli. A Palermo venne organizzato un convegno di tre o quattro giorni con i più grandi storici italiani e del resto del mondo sul tema: ''La Sicilia'' e ''l'Unità d'Italia''. Gli atti vennero pubblicati dalla Feltrinelli in due volumi e costituiva il corpus delle ricerche storiografiche più avanzate fino a quel momento. Del problema di Bronte però non si parlava come non si parla del problema dei contadini della Sidi; in quegli anni. ''Lei come è riuscito a ricostruire quell'episodio in manie così precisa come appare nel film?'' Prima di tutto sono andato a Bronte, dove si trovavano interessanti documenti, tra cui un libro, che non c’erano neanche nelle biblioteche nazionali. Fu pubblicato agli inizi del Novecento da un avvocato di Bronte a sue spese. (costui, figlio di un notaio, all'epoca dei fatti aveva 10-11 anni). Durante la maturità si mette a studiare la storia di Bronte e pubblica tre ponderosi volumi cominciando dalle leggende preistoriche. L'ultimo volume è dedicato ai fatti del 1860. ''Chi è l'autore?'' Benedetto Radice, se non sbaglio. ''Il titolo?'' Non ricordo il titolo di tutta l'opera, ma l'ultimo volume si intitola intitola ''Nino Bixio a Bronte''. Tornando al mio sopralluogo, dopo qualche giorno trovo questo libro. E' già una grossa conquista perché è molto dettagliato, quasi un diario quotidiano di quei giorni con i personaggi che cominciano ad emergere e una narrazione molto rigorosa. Ma soprattutto mi convinco che, per capire esattamente cosa fosse accaduto, bisognava andare negli archivi del tribunale di Catania a tirar fuori gli atti giudiziari. Mi riferisco al processo che si celebrò a Catania tre anni dopo i fatti, cioè nel 1863, e che culminò con una serie di condanne all'ergastolo. Il cerchio si chiude, perché la novella Libertà di Verga illustra i fatti di Bronte raccontando di un processo che si celebra a Catania, al quale Verga, evidentemente, aveva assistito. E infatti nella novella rievoca, attraverso squarci di racconti e di testimonianze che si erano avute durante il processo, ciò che era accaduto in quello sperduto paese di montagna. È un particolare importante perché conferma che a Catania era stato celebrato un processo al quale Verga aveva assistito. Da qui doveva essere nato lo stimolo a scrivere il racconto. Gli atti giudiziari furono trovati e studiati da un mio amico ricercatore, che si adoperò per mesi e alla fine raccolse una enorme mole di documentazione che fu alla base del mio film. Per quanto riguarda il personaggio di Nino Bixio, ho cercato lettere, documenti, proclami, tutte cose che non erano mai state indagate prima d'allora. [...] Il lavoro di sceneggiatura ebbe varie fasi. La prima versione la scrivemmo io e Fabio Carpi. Pur ritenendoci preparatissimi sulla storia e la cultura siciliana, eravamo pur sempre due padani; io ferrarese, Carpi milanese. Sentimmo il bisogno di avere il contributo di un siciliano autentico perché, anche se ci basavamo sui documenti dell'epoca, avevamo una specie di timore ad affrontare la psicologia siciliana. In quegli anni, 1960-1961, stava affermandosi un giovane scrittore siciliano di cui leggevamo le prime pubblicazioni e che ci interessava moltissimo. Si chiamava Leonardo Sciascia. Lo contattammo e gli chiedemmo di collaborare con noi. Lui fu ben felice. Credo sia stata l’unica volta che Sciascia abbia collaborato a un film perché, anche per i molti film tratti dalle sue opere, non ha mai voluto collaborare alle sceneggiature. Con Sciascia stendemmo il copione del film che rimase fermo, come ho detto, per 8-9 anni. Nel momento in cui noi prendemmo accordi con la Rai ci fu chiesto un ampliamento della sceneggiatura. Era già un copione molto grosso e calcolavamo che avremmo superato le due ore. Ma la Rai ci chiese di farne tre puntate da 50 minuti, come si faceva in quel periodo. Allora, per questa rielaborazione, intervenne un altro sceneggiatore siciliano: Nicola Badaluccio.”
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