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=== Cinema delle pianure: Case sparse di Gianni Celati === di Antonio Costa Il cinema di Gianni Celati è una sorta di back-stage dei suoi libri. Strada provinciale dell'anima (1991) ripercorre lo stesso paesaggio della raccolta Verso la foce (1989) ma, questa volta, “su una corriera azzurra assieme a trenta persone”. I{ mondo di Luigi Ghirri (1998) è una testimonianza appassionata sul lavoro fatto in comune con l’amico fotografo (prematuramente scomparso nel ‘92). Case sparse-Visioni di case che crollano (2003) è il capitolo conclusivo di questa trilogia audiovisiva che prolunga e integra il lavoro di scrittura. Con il volume di racconti Narratori delle pianure (1985) Celati aveva iniziato il suo viaggio attraverso la Valle Padana alla ricerca di storie da raccontare. Da allora fino al suo libro più recente (Cinema naturale, 2001), Celati ha continuato questa raccolta di storie. I suoi film-documentari (ma io preferisco chiamarli film e basta) sono un altro aspetto del suo viaggio alla ricerca di cose da vedere (e sentire). Per questo mi piace definirli cinema delle pianure. E penso alla fotografia di Ghirri che c'è in copertina della prima edizione Feltrinelli di Narratori delle pianure: c'è lo scrittore fotografato di spalle, rivolto verso l'orizzonte brumoso di una spianata bianca di neve (nessuno ha saputo fotografare la neve come Ghirri, uomo di pianura). Osserva Celati, in Il mondo di Luigi Ghirri: “Metteva sempre le persone di spalle a guardare qualcosa”. E ancora: “Luigi diceva che la fotografia è il mondo che‘. guarda il mondo”. Case sparse, a partire dal titolo, sviluppa suggestioni di Ghirri (lo scrittore Ermanno Cavazzoni ricorda: “Uno degli ultimi progetti di Ghirri, prima di morire, era quello di fotografare le vecchie case di campagna: doveva chiamarsi Case sparse”). E a Luigi molto doveva Strada provinciale dell'anima. Vi appariva come una sorta di fotografo di scena. In realtà era l'ispiratore della concezione visiva del film. E della sua filosofia. In una scena, l'unica în cui prende la parola, Ghirri ricorda una definizione di paesaggio come “luogo dove finisce la natura” (Ansel Adams). E aggiunge che il paesaggio “è anche luogo di distruzione”, riconoscendo che in ogni rappresentazione c'è una riduzione, una schematizzazione della complessità delle percezioni: “gli odori, il vento che ti passa sulla faccia, la luce, le parole che ascolti, i suoni che non ci sono...: forse, alla fine, il paesaggio è il luogo dell'attenzione infinita. In questo senso non riesci mai a trovare un punto definitivo per determinare un ambiente...”. E a ricordarci il paesaggio come luogo di attenzione infinita, in Strada provinciale dell’anima, c'è anche Stefano Barnaba, lo straordinario tecnico del suono di tutti i film di Celati. Barnaba non dice una parola, ma è lì a ricordarci, entrando e uscendo dalle inquadrature con i suoi strani strumenti di registrazione, che un film si fa registrando immagini e suoni. Lo spettatore în genere ricorda solo le immagini. A nessuno viene mai in mente di dirgli buon ascolto, nessuno gli augura mai buona audiovisione. Veduta frontale e il cinema dell'attesa. C'è un breve testo di Celati su Antonioni, scritto nell'87. Si chiama La veduta frontale. Antonioni, l'Avventura e l'attesa. Qui egli interpreta il mondo del regista ferrarese attraverso una fotografia di Ghirri. La fotografia è quella famosa del rettangolo bianco di una porta in un campo di calcio, nel bel mezzo di una campagna di un verde impenetrabile. Tutto il brano è costruito su un’opposizione tra due termini: aspettative e attesa. Le aspettative sono soddisfatte dai meccanismi narrativi del cinema spettacolare (ma anche, possiamo aggiungere, dalle grandi narrazioni ideologiche della società, della storia). L'attesa è un’altra cosa. Le aspettative servono a “ingannare il tempo”, L'attesa è invece la sensazione di un presente ineludibile, di un tempo che non può essere ingannato. 'attesa è una “sosta nel paesaggio”. Mentre le vedute oblique, di scorcio, sono il cinema delle aspettative, il cinema spettacolare, le vedute frontali sono îl cinema dell'attesa, il cinema di Antonioni, le fotografie di Ghirri. Case sparse è, allo stesso tempo una ricerca di immagini e una ricerca sull'immagine. Le immagini sono quelle dei casolari abbandonati, delle case che crollano, abitazioni disabitate, ville in rovina, chiese scoperchiate. Immagini fuggevoli per chi attraversa la pianura sfrecciando in autostrada o per chi guarda il paesaggio dal finestrino di un eurostar. Immagini che si possono guardare un po’ più da vicino vagando lungo la foce o prendendo un treno locale, per esempio il trenino rosso della linea Parma-Suzzara che ferma a Luzzara, il paese di Zavattini, a Boretto che abbiamo imparato a conoscere sulle pagine di Verso la foce... Di immagini di rovine Celati mette insieme una bella collezione, un po’ come i soldati di Godard tornati dalla guerra (Les carabiniers). E che una guerra sulla Valla Padana ci sia stata, lunca e estenuante, Celati sembra non aver dubbi: una guerra che ha lasciato ovunque rovine, anche se mentre si svolgeva nessuno sembrava accorgersene. In uno dei testi scritti per Ghirri, Celati definiva Il profilo delle nuvole, “lalbum delle cose che si possono vedere, indicate nel modo in cuì chiedono di essere viste”. Questo è il punto: come si guardano queste rovine? Cosa significa fissare le immagini di queste rovine? E ancora: cosa sono le rovine? Lo sguardo della macchina da presa cerca la giusta prospettiva e tende a fissarla nell'esattezza di un’inquadratura: ora è un colore che emerge, ora è l'associazione di un suono evocativo di spazio circostante, ora un oggetto (un rottame di bicicletta, la carcassa di un televisore, una trave sporgente, fradicia d'acqua...). Le immagini in movimento di Celati sembrano cercare l'esattezza delle fotografie di Ghirri, ma per verificame l'impossibilità. Nel tempo sospeso si inserisce il movimento quasi impercettibile delle foglie di un albero, dei fili d'erba di un prato in primo piano; l'incanto della visione è interrotto da un'auto che sfrecciando lacera l'intelaiatura del giusto vedere. Tutto questo è cinema: esso ha in comune con la fotografia la ricerca di un senso da attribuire all'atto del vedere. La fotografia di Ghirri procede per astrazioni, per sottrazioni: sottrae l'attimo alla precarietà, alla casualità del tempo che passa. Il cinema di Celati temporalizza l'attimo fotografico, lo scompiglia: ci fa vivere la dimensione dell'attesa, che ci rivela l'ineludibilità del tempo, della morte degli oggetti. C'è un'inquadratura di uno specchio d’acqua limpida che ci fa vedere in trasparenza, depositati sul fondo, oggetti sommersi da chissà quando, che si confondono con la vegetazione acquatica, desueti gli uni e l'altra come reperti archeologici che si danno al nostro sguardo sotto una patina di melma grigiastra: di tanto in tanto, una goccia d'acqua, cadendo, agita la superficie e turba per un attimo l'ordine immobile delle cose. Così si guardano le rovine; così le rovine ci guardano. In Case sparse non ci sono solo questi momenti privilegiati, quelli in cui il “mondo guarda il mondo”, come diceva Ghirri. Ci sono anche informazioni varie su tempi, modi in cui è avvenuto questo progressivo abbandono delle case sparse, in cui si è compiuto il degrado del tessuto abitativo. Ma non sono questi aspetti “sociologici” a costituire il centro del film, a determinarne la qualità visiva (audiovisiva), ineludibile come il tempo presente. Celati riesce a trasmetterci in Case sparse una sensazione che C'era già in Verso la foce, dove aveva parlato di “un nuovo genere di campagne in cui si respira un'aria di solitudine urbana”. In un articolo su Case sparse pubblicato in “Alias”, Marco Belpoliti ha giustamente ricordato un saggio di Celati, che si intitola Il bazar archeologico (1975), al quale si può far risalire la filosofia della sua ricerca di immagini e di storie. Si tratta di un'idea di modernità (ricavata da Benjamin, Breton, Blanchot, Bachtin e altri) che mette il bazar al posto del museo, che prende le distanze dallo storicismo e dalla sua idea di Storia, a favore dei frammenti, degli sguardi marginali. Giustamente Belpoliti cita la frase che dà il senso di quel saggio, ma che dà anche il senso di questa ricerca sulle rovine: “ciò che manca alla Storia è il senso di morte degli oggetti”. ==== Personaggi e storie: una questione di sguardi ==== In Case sparse il compito di enunciare queste idee è affidato a John Berger, accreditato nei titoli di coda come il narratore. Verso la fine lo vediamo guardare, dal porticato di una casa in rovina, un giovane pioppeto che si distende davanti ai suoi occhi. Egli osserva che gli alberi sono piantati in modo da offrire diverse direzioni allo sguardo, quella principale che conduce direttamente verso il fiume, ma anche altre trasversali, marginali, secondarie. E conclude con una sorta di invettiva contro l'inganno dello storicismo, l'ideologia del grande unico sentiero della Storia: “A scuola ci insegnano che c'è un unico sentiero, il grande sentiero della Storia, la grande interpretazione storica del passato che sarebbe questo viale principale. Balle! In realtà, quando ci sì trova davvero di fronte al passato, ci sono tanti sentieri da prendere, forse tanti quante sono le persone che guardano e che scelgono le loro strade.” A questo punto, Celati, che nel film traduce Berger che parla inglese, entra in campo dal lato inferiore dell'inquadratura e applaude. John Berger è un intellettuale londinese settantenne, dai capelli bianchi dritti, uno sguardo chiaro e intenso, il volto asciutto come quello di Beckett. È autore di Questione di sguardi, un libro che ha per sottotitolo Sette inviti al vedere tra storia dell'arte e quotidianità. Nei suoi interventi lungo il film, durante i quali porta quasi sempre una camicia azzurra come la corriera di Via provinciale dell'anima, egli ci parla del modo di guardare le rovine. “La verità è che quando si osserva davvero una di queste case che crollano si entra in una diversa dimensione. Di solito noi non mettiamo gli occhi su aspetti del genere, aspetti in cui le cose si trasformano intensamente, si trasfigurano nel loro stato di abbandono, diventano come strane memorie che in realtà non sappiamo che cosa ci vogliano dire, né cosa significhino per gli altri. Loro sono dei relitti. noi almeno per un momento ci troviamo smarriti.” Cogliere lo smarrimento, l'esitazione tra vari sensi possibili senza che in realtà uno possa prevalere. Questo cercano le immagini di Celati: le inquadrature mobili (lenti carrelli in avanti alla ricerca della giusto attimo in cui la luce, il colore il dettaglio si rivelano allo sguardo), i piani fissi, i campi lunghissimi come quelli che mostrano una cascina che emerge dalle acque come una palafitta, ultime, indimenticabili, immagini del film dopo i titoli di coda. Forse il senso sta nelle storie dei personaggi che si raccontano, come quella detta più volte, in differenti situazioni, dall'attrice Bianca Maria D'Amato. A guidarla nella ricerca della giusta intonazione, nella giusta posa è Alberto Sironi (per un telespettatore d'oggi è il regista del Montalbano televisivo, ma per i lettori di Celati è un personaggio di Verso la foce, con il quale egli lavorava a una sceneggiatura su Fausto Coppi): “Solo quando mi sono sposata ho visto una casa nuova. Prima in campagna nessuno aveva l'acqua in casa. Adesso avevo l'acqua corrente. Casa Calda. Mio marito in un caseificio. Io mi ero messa a fare l'infermiera. Incontravo degli uomini. Sono andata con un imbianchino. L'imbianchino...” Infine l'attrice dice la sua storia sul palcoscenico di un teatro (è il Teatro Petrella di Longiano), mentre su uno schermo passano vecchi documentari in bianco e nero (di Florestano Vancini, Renzo Renzi, Giuseppe Morandi), immagini che sembrano venire da un altro mondo... “Tra le case sparse ci si conosceva tutti. Tutti sapevano tutto di te. Le campagne erano per me posti per nascondermi. Anche nei fossi delle volte. Delle volte con uomini. Delle volte nel buio stavo in un fosso a guardare le stelle.” Case sparse-Visioni di case che crollano (2003) è prodotto da Pierrot e la Rosa (Via S. Pier Tommaso, 18, 40139 Bologna) e Stefilm în coproduzione con ZDF/ARTE e con la partecipazione di Telepiù. E stato presentato al Festival “Memorie periferiche” di Livorno (28 genn-1 febbr. 2003) ed è stato trasmesso da Telepiù il 28 gennaio 2003 e più volte replicato. Ugualmente prodotti da Pierrot e la Rosa sono stati Strada provinciale dell'anima (1991; andato in onda su Raitre nel 1992) e I{ mondo di Luigi Ghirri (1998). I libri di Gianni Celati citati sono: Narratori delle pianure, Feltrinelli, Milano 1985; Verso la foce, Feltrinelli, Milano 1989; Cinema naturale, Feltrinelli, Milano 2001; l'articolo di Celati, La veduta frontale. Antonioni, l'Avventura e l'attesa è apparso in “Cinema & Cinema”, a. XIV, n. 49, giugno 1987, pp. 5-6; il saggio di Celati Il bazar archeologico (1975) è ora compreso nel suo volume Finzioni occidentali, Einaudi, Torino 2001, pp. 197-227. Il libro di Ghirri cui si fa riferimento è Il profilo delle nuvole. Immagini di un paesaggio italiano, testi di G. Celati, Feltrinelli, Milano 1989.Il libro di John Berger, Questioni di sguardi è edito da Il Saggiatore, Milano 1998. L'articolo di Marco Belpoliti, Celati, cinema-filosofia lungo la valle del Po è apparso in “Alias”, suppl. sett. di “Il manifesto”, a.VI, n. 7, 15 febbraio 2003, p. 18. Il film su Coppi, diretto da Alberto Sironi che lo ha scritto con Celati, si intitola Il grande Fausto (1995) ed è interpretato da Sergio Castellito e Ornella Muti. ==== Film ==== * [[Strada provinciale dell'anima]] di Gianni Celati * [[Il mondo di Luigi Ghirri]] di Gianni Celati * [[Visioni di case che crollano (Case sparse)]] di Gianni Celati
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