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== DIECI ANNI PRIMA / SONO NATO, MA... == Di '''Enrico Ghezzi''' Si dice così nelle narrazioni, si scrive, si legge nei cartelli dei cronologici dei film: dieci anni prima. Non è “dieci anni fa”, non ci si pone nel presente da cui si parla ma, proprio come al cinema, o più “in alto” (in un punto da cui sia possibile giocare a immaginare la valle del tempo, o fingere di raccontarla), o comunque in un luogo lontano dal presente, un luogo da cui il presente appaia un punto in quel flusso parallelo (parallelo alla nostra vita che è stratificazione scultorea, corpo mutante del tempo) che è il tempo. Fedele ai suoi limiti (cinema indipendente italiano), fedele alle sue contaminazioni (cinema che in realtà vuol dire video, vuol dire frammento, vuol dire tentativo; indipendenza che può voler dire indigenza ma anche stato mentale che permette semplicemente a un autore o a un'immagine di non conservare alcuna traccia della committenza o della ricchezza che li promuovono; italiano che vuol dire anche retrospettive straniere, (che risulta scelta quasi paradossalmente elitaria, in uno spazio/tempo che d’estate è uno dei più turisticamente poliglotti e multinazionali, la costa adriatica), Anteprima è tecnicamente sempre meno un’anteprima. Sono diversi, nel territorio e nel calendario, i momenti in cui questo cinema si manifesta pubblicamente in Italia, compreso quel luogo/momento che è la televisione. Se esiste ormai un vero e proprio circuito fisso di sale/festival in tutto il mondo, attraverso cui passano nell’arco di un paio d’anni tutte o quasi tutte le produzioni d’autore (non necessariamente difficili o d’avanguardia), molte delle quali alla fine tristemente o quasi naturalmente o felicemente realizzate solo in quella distribuzione festivaliera e poi nel passaggio televisivo, lo stesso accade per il piccolo cinema e video indipendente. Paradosso pericoloso. L’incerto, il nascente, che a sua volta in qualche modo si cristallizza, gira di festival in festival, si ferma nello stato intermedio (e per questo vitale) in cui è, 0 in cui era, quando questo “esserci” si protrae troppo a lungo, come se le larve fingessero di essere farfalle. Oppure è vero anche il contrario. Il lavorìo sordamente gioioso o gioiosamente subalterno e briciolesco intrapreso da dieci anni a Bellaria (il più basso e elemosinesco dei contributi della più piccola delle reti televisive al più piccolo e indipendente dei piccoli film d’autore italiani per un passaggio tv eccede tranquillamente tutto il budget complessivo del nostro festival) ha prodotto anche un circuito di desideri non frenetici e non megalomani, di consapevolezza ora economica ora creativa che sceglie un itinerario trasversale non necessariamente e ideologicamente underground, che pratica il tempo del troppo presto troppo tardi sapendo che il cinema sta tutto in questo scarto, in questa impossibilità temporale, permettendosi di (non) invecchiare dentro di esso. Stupefacente e confortante è per esempio la costanza di Cinico Tv dei palermitani Ciprì e Maresco (che qualunque produttore cinematografico appena attento al baluginare delle immagini anche in tv dovrebbe già aver peraltro subissato di proposte), che restano fedeli alla loro infedeltà allo schema tipico del rapporto tra l’autore indipendente e l’istituzione/miraggio che è il cinema; mantenendo un rapporto con l’istituzione non-miraggio che è la tv in Italia e con il vortice di linguaggi che è la tv nel mondo; sapendo che il loro nulla lì trova il suo pubblico piccolo e enorme, il suo unico sacrificio (o martirio, o santificazione); producendo un video che è il cinema più cinema che si possa vedere oggi; secernendo una miriade di corti che può già riempire una notte intera meglio della filmografia di un autore affermato. Dieci anni prima. Dieci festival fa, 1983. A Venezia, nella famigerata sezione De Sica, c’era anche Testadura di Daniele Segre, di nuovo a Venezia quest'anno in una sezione analoga (le mattinate ...) e presenza ripetuta e apprezzata a Bellaria, anzi vincitore nel 1984 con Vite di ballatoio (e un altro nome iperbellariese, Soldini, è a Venezia con un “corto”). Nell’anno di trionfo morte risurrezione autoriale del Prenom Carmen di Godard iperpremiato dalla giuria di Bernardo Bertolucci, a Venezia 1983 c’era in concorso il Pupi Avati di Una gita scolastica, e forse a qualcuno sembrò una scelta coraggiosa. Avati è in concorso anche quest'anno, ma in concorso ci sono anche i due esordi assoluti di Grimaldi e di Martone, una scelta coraggiosa sicuramente. E questa estate delle esplosioni di Falcone e Borsellino (scriviamolo, ce lo ricorderemo) è anche quella in cui il cinema italiano (un po’ più) “giovane” sembra esplodere: molti film da selezionare, molti film nei festival, molti film ancora in produzione, molti capitali che escono a volte non si sa (0 non si vuol sapere) da dove, qualche produttore, anche molto entusiasmo. Ma è buffo leggere ancora i nomi sparsi nelle sezioni veneziane di nove anni e dieci festival “prima”. Col Centro Sperimentale (quest'anno retrospettivato qui in schegge e provini, anche stranieri e “apolidi” per fortuna) c'erano Gaudino (già con il primo Aldis, poi a Bellaria e poi di nuovo a Venezia in altri anni e altre versioni, film meteora di un decennio, che ancora blocca la gente a bocca aperta intravisto di notte in tv) e la Archibugi, con la scuola Gaumont esordivano in corto Carlei e Luchetti, veniva fischiato alla De Sica l’oscarino di dieci anni dopo Salvatores col primo film, e al primo film arrivavano anche Mazzucco e Barzini, e si vedeva un unicum come Amore tossico; Ghezzi e Giusti presentavano i caroselli d'autore col titolo di Corti comici e Corti firmati. A Bellaria aveva vinto Come dire di Fumagalli, comunque un bel titolo, una bella incertezza. Avrebbero in seguito “vinto” perfino dei cortometraggi, con scandalo dei benpensanti da regolamento. E quest’incertezza è mantenuta, come sola identità di un’ Anteprima che appunto non lo è più, che è ormai parte di un discorso diffuso. Insieme con quella sfida al desiderio di fare che si deve concentrare nel concorso dei tre minuti (sperando che anche uno solo dei “tre minuti” possa per qualcuno giustificare dieci anni di Bellaria ...?). Povero, e contaminato (lontano dal rigore obbligato della “povertà”) il “momento Bellaria” può adesso forse puntare ad essere, oltre che “rassegna”, un punto archimedeo da cui con leggerezza far “levare” in aria proposte invenzioni urli di immagini. Senza mai cadere nel ruolo terribile evocato in un film bellissimo di Ozu (nel 1932, sessant'anni prima), il ruolo del “Padre” che i figli vedono fare il giullare nel filmino familiare dell’industriale suo datore di lavoro. (Il giorno dopo padre e figli tristissimamente “si riconciliano”; noi vorremmo rimanere non riconciliati). Il titolo del film è Sono nato, ma ...
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