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[[American dream]] di Claudio Adani | |||
[[Aspettando la neve]] di Sandra Patara | |||
[[Bari non è mica la luna]] di Maximilian Cocozza Lubisco | |||
[[La donna di fiori]] di Stefano Wiel | |||
[[Enigmatic ages]] di Flavia Alman, Mario Canali | |||
[[La femmina d'oro]] di Luca Faggioli | |||
[[L'homme au sable]] di Massimo Donati | |||
[[Imprevisti]] di Gugliclmo Zanette | |||
[[L'intervista]] di Francesco Caligiuri | |||
[[Io e Margherita]] di Sergio Staino | |||
[[Ladri di futuro]] di Enzo Decaro | |||
[[Lecons de tenebres N° 3]] di Tonino De Bernardi | |||
Losaida di Cristiano Bortone | |||
Una notte d'agosto di Giovanni Martinelli | |||
Paris Vision di Renato Job | |||
Petra lavica di Daniele Pignatelli | |||
Pietro e gli altri di Davide Del Boca | |||
Ramon di Giampaolo Mascheroni | |||
Real Falchera di Giacomo Ferrante, Renato Ricatto, Enrico Verra | |||
Ritratti d'autore - David Maria Turoldo di Damiano Tavoliere | |||
Sei corto sei di Daniele Ciprì, Franco Maresco | |||
Sette quadri per lo zen di Pietro Angelini | |||
Tempo di riposo di Daniele Segre | |||
L'uomo che contava i suoi passi di Giuseppe Marcoli | |||
Una voce sola di Carlo Ventura | |||
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Versione delle 11:14, 10 mar 2025

Ente promotore
Comune di Bellaria Igea Marina, Assessorato alla cultura, Ministero del turismo e dello spettacolo, regione Emilia Romagna, Provincia di Forlì
Direzione
Enrico Ghezzi, Morando Morandini, Gianni Volpi, Gianfranco Miro Gori
Organizzazione
Luigi Barberini
Ufficio stampa
Marzia Milanesi
Segreteria e Catalogo
Nicoletta Donati, Annamaria Gradara, Andrea Menghi per associazione Creattiva
Amministrazione
Saverio Gori
Ospitalità
Eleonora Abbondanza, Marcello Morri
Presentazione
Di Antonio Bernardi
"Altri echi abitano il giardino, li seguiremo?" (T.S. Eliot, Four Quartets)
Il gabbiano di Anteprima compie nove anni di vita e vola alto sorretto da una forza motrice che è la propria curiosità. L'orizzonte è nuovamente mutato; il cinema italiano oggi sembra godere di salute migliore, nuovi autori, di cui non pochi transitati da Bellaria, hanno aperto un varco oltre l'ambito degli addetti ai lavori, facendosi accettare dal grande pubblico.
Questo Festival continua a dare un contributo come luogo di valorizzazione delle risorse intellettuali che il nostro cinema sa produrre. E allora, sul quesito di Eliot, attrezziamoci per cogliere nuovi echi e nuove suggestioni, alcune già sedimentate come nuove esperienze esemplari.
La Scuola di Monaco è l'esempio calzante di un produrre cinema al di là di logiche di colonialismo commercia-le, puntando a creare tecnici e autori del proprio paese e all'interno di un percorso che il cinema europeo sta svelando con coerenza da ormai qualche anno. E questa logica di radicamento accomuna esperienze rilevanti ad un'idea di cinema che cova in seno ad Anteprima; idea che emerge frammentaria ma che possiamo tentare di svelare con una buona dose di compiutezza: il mezzo cinematografico è in grado, per i suoi caratteri tecnici, per l'attenzione che suscita, di estendere, approfondire e penetrare la realtà che ci circonda.
Esso può essere per ciascuno di noi la scoperta del mondo (l'America?), la scoperta di forze vitali, della fecondità della natura, delle possibilità dell'uomo. Così non più un mito simbolico o uno schema intuitivo di un aspetto della vita, ma tutta la vita, nel suo sfondo naturale e nella sua concretezza umana, può divenire spettacolo, e spettacolo indicatore di soluzioni ai problemi della realtà. Questo spettacolo (la visione) in cui l'uomo è messo in presenza di tutta la realtà, diviene coscienza aperta ed attiva di fronte e all'interno della realtà quotidiana.
L'uomo e il mondo si ricongiungono non nel mito, ma nella realtà diventata spettacolo all'uomo che vi si riconosce. Il Cinema può ridare all'esperienza la sua schiettezza e alle cose la loro vitalità; può fare apparire dietro gli schemi (o sullo schermo) di una triste scenografia che inquadra, impoverendola, la visione quotidiana dell'uomo comune, l'esuberante ricchezza della realtà. Ricchezza che è vita e poesia delle cose, è prospettiva aperta dell'esistenza, del crearsi continuo e solidale del mondo degli uomini così differenziato di aspetti e valori.
I nove anni di Anteprima, festival introverso, convivia-le, lontano dalle sfarzose mondanità ma attento al nuovo, al minimale come al macroscopico, alla Metropoli Balneare come al Borgo Rurale, rivelano questa sottile costante convinzione.
Senza titoli
Di Gianni Volpi.
Nonostante tutto, Anteprima - festival sempre nuovo, che sembra sempre cominciare - ha quasi dieci anni. Quasi una tradizione. Quasi un’istituzione. In realtà, resta ciò che è sempre stata, un appuntamento, una data (più o meno fissa), uno spazio d’incontro e di riscontro possibile.
A precluderle ogni ufficialità c’è il suo budget (quest'anno appena meno povero da dare vertigini di lusso; ma sul costo di festival, eventi - non tutti così necessari - che hanno sostituito i cineclub degli anni Settanta a costi decuplicati e senza più circolazione dei prodotti, bisognerà avere il coraggio di intervenire sfidando il nostro spirito di consorteria) e c’è la sua unica trasversalità, una trasversalità tecnologica (che è una continua, paradossale sfida con le ormai mitiche Arene, con il mitico e carico di memorie cinema Astra e i suoi incerti 16mm: una sala davvero all’altezza del progetto resta l’ultimo problema materiale di Anteprima), un attraversamento deliberato di generi, durate, atteggiamenti, di autonomia come valore in sé e di indipendenza come fase transitoria, preparazione, attesa, presentazione per il Cinema: la sua contraddittorietà.
“Spesso, ai margini, c'è qualcosa d’importante”, teorizzava Emnst Bloch. E’ stata la ragion d’essere (forse, la consapevolezza) di Anteprima. Altre realtà, altre sensibilità. E le loro espressioni. A volte, importanti davvero. Non fiori fecondi ad uso di esteti garantiti, fiori spontanei come in comode nostalgie selvagge, ma qualcosa (spesso pagato di persona dagli autori) che possiamo riconoscere, in cui ci possiamo riconoscere. Bellaria, come non mai, è anteprima, figure “storiche” e “scoperte” di appena ieri tornano quest’anno a competere, assieme a nomi ancora sconosciuti con le loro spinte di immaginario, di narrazione, dissonanti. Ma è anche retrospettiva (i panorami talora noti, più spesso sorprendenti che ci abbozzano allievi e “maestri” della Scuola di Cinema di Monaco) e propositiva di qualcosa già visto e magari premiato altrove e riproposto in una sezione a sé come esperienza o soggetto o ricerca comunque “da vedere”. Ma la stessa selezione per il Concorso (una proposta dilatata come la rana di Esopo: ben 221 film e video sottoposti al nostro pre-giudizio e pregiudizio; un rapporto abnorme di scelta, di uno a venti, e con una parte degli esclusi si potrebbe forse mettere insieme un’altra Anteprima, non meno interessante, non meno autoriale) non diventa essa stessa un‘ riconoscimento, un marchio, un’ipotetica proposta oltre i tanti segni e incroci? E intanto il “Casa Rossa”, anno dopo anno, allinea i pochi nomi giusti di un cinema giovane non di ricalco, che a volte può sembrare costeggiare la norma ma non rinuncia a inseguire, con più radicalità, con meno radicalità, “miraggi” sconosciuti ai troppo presto “inseriti”.
Niente linee o scuole, teorizzate prima di esistere, dissolte prima di produrre frutti, ma una ricerca di valori di scrittura e di realtà, così locali e così personali. Non confondibili. I torinesi (di seconda immigrazione) delle fiction-verità di Segre e allievi, i fiorentini autoironici e auto giustificazionisti di Staino, i palermitani “fissati” da Ciprì e Maresco, gli stessi napoletani da commedia-non commedia di Decaro, certe cadenze di parlato e di esistenza emiliane, certe “illuminazioni” lombardo-venete, e certe figure alte o basse, ma tutte a loro modo centrali, di una centralità non scheggiata ne modaiola, secondo una tradizione di Anteprima.
Oggi, c'è una necessità di più. Dopo un decennio, il cinema indipendente - e, con esso, Anteprima - si trova in una fase di uscita, di bisogno di uscire dal ghetto dell'invisibilità diffusa. Indipendenza, scelta o imposta, non significa isolamento, significa autonomia, capacità di stare nello stesso tempo dentro le cose e fuori dalle cose quali sono. E l'attualità di un celebre aforisma di Adorno sul barone di Münchausen che si tira fuori dallo stagno afferrandosi al proprio codino.
Un gesto materiale, concreto di utopia, di follia attiva, non arresa. E allora perché non lavorare a un "mercato" per il "corto" - il corto non necessariamente breve, della durata che prescrivono i manuali e le leggi di "aiuto" al cinema, ma in quanto non è la fiction canonica, standard produttivo e attori riconosciuti, e così via. 'Il "corto", tutto ciò che sta tra i dieci e i quaranta minuti, se non tra un minuto e un'ora (che è poi la misura dei prodotti presentati a Bellaria), invece del lungometraggio "impossibile" (e quasi tutti scartati; ma anche i più fortunati e riusciti per ora restano su una "mattinata" veneziana e una distribuzione aleatoria). Perché non deve trovare i suoi canali di sbocco come in qualche altro paese europeo? La RAI; i cinema d'essai; i cineclub qua e là resuscitati come "Studio", quando non come "Museo del Cinema"; altri luoghi di un pubblico di nuovo "curioso", che un po' torna a esserci: tutte ipotesi meno astratte, meno casuali, di quanto si possa pensare.
Il corto, come dice chi ha un posto nel "sistema medio-logico avanzato", buca il palinsesto, può mutare i ritmi della séances delle sale. 16mm (che ad Anteprima sono tornati a occupare metà Concorso) subito usabili per antica convenzione, per comodità di proiezione, per il feticcio della pellicola, perché ricordano il Cinema, il film, e un video uscito "dall'ingorgo tecnologico", narcisismo degli strumenti, per tentare una "possibilità di rappresentazione", il dispiegarsi delle differenze.
Ormai "genere a sé", presente e vincente anche nei Grandi Festival, parte essenziale e misconosciuta (che comincia appena a essere riconosciuta da giurati e critici e - ma non da noi - da "televisivi") del cinema dell'ultimo decennio, possono rifondare un nuovo possibile "consumo", non ripetere l'underground. Non poche questioni importanti di questi anni si sono spente prima di divenire risposte (è il cattivo costume di tutta la vita pubblica). Questioni non "superate", ma respinte ai margini come "démodées". Tornano sotto altre apparenze. Impongono i loro tempi. Il loro tempo, "più veloce più lento, né l'uno né l'altro", come intitolava un racconto inedito appena ritrovato del grande Chandler, che preferiva nella musica, nell'amore, nel ritmo di un cinema e di un festival (aggiungiamo) un perfetto "presto ma non agitato". Una "dose ragionevole di audacia". Un bel programma per cineasti indipendenti e per Anteprima, lasciato da uno scrittore che ha saputo "passare il Rubicone" di tante esclusioni. E il Rubicone, secondo ricerche recenti, non scorre, non si "passa" tra Bellaria e Igea?
Premio Casa Rossa al miglior film dell'anno
- L'aria serena dell'ovest di Silvio Soldini
- La cattedra di Michele Sordillo
- C'è posto per tutti di Giancarlo Planta
- Matilda di Antonietta De Lillo e Giorgio Magliulo
Concorso anteprima
A media luz di Claudio Del Punta
Acque di Umberto Cantone
American dream di Claudio Adani
Aspettando la neve di Sandra Patara
Bari non è mica la luna di Maximilian Cocozza Lubisco
La donna di fiori di Stefano Wiel
Enigmatic ages di Flavia Alman, Mario Canali
La femmina d'oro di Luca Faggioli
L'homme au sable di Massimo Donati
Imprevisti di Gugliclmo Zanette
L'intervista di Francesco Caligiuri
Io e Margherita di Sergio Staino
Ladri di futuro di Enzo Decaro
Lecons de tenebres N° 3 di Tonino De Bernardi
Losaida di Cristiano Bortone
Una notte d'agosto di Giovanni Martinelli
Paris Vision di Renato Job
Petra lavica di Daniele Pignatelli
Pietro e gli altri di Davide Del Boca
Ramon di Giampaolo Mascheroni
Real Falchera di Giacomo Ferrante, Renato Ricatto, Enrico Verra
Ritratti d'autore - David Maria Turoldo di Damiano Tavoliere
Sei corto sei di Daniele Ciprì, Franco Maresco
Sette quadri per lo zen di Pietro Angelini
Tempo di riposo di Daniele Segre
L'uomo che contava i suoi passi di Giuseppe Marcoli
Una voce sola di Carlo Ventura