1998: differenze tra le versioni

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== Prime visioni ==
== Prime visioni ==
* [[Cinque giorni di tempesta]] di Francesco Calogero
* [[Cosa c'entra con l’amore]] di Marco Speroni
* [[Deserto rosso]] di Michelangelo Antonioni
* [[Giochi d’equilibrio]] di Amedeo Fago
* [[Giro di lune tra terra e mare]] di Giuseppe M. Gaudino
* [[Messaggi quasi segreti]] di Valerio Jalongo
* [[Polvere di Napoli]] di Antonio Capuano
* [[Totò che visse due volte]] di Daniele Ciprì, Franco Maresco
== Alfabeto italiano ==
Da un'idea di Beppe Attene e Beppe Sangiorgi, realizzato con materiale d’archivio della cineteca Rai in collaborazione con la Làntia Cinema & Audiovisivi
Di Marco Bellocchio
Inaugurare il Festival con Alfabeto Italiano ha il significato di proporre dei film prima di tutto di autori italiani molto personali, che operano uno “sfondamento” dei confini, dei canoni abbastanza rigidi dei film a soggetto (la storia secondo la drammaturgia sofoclea) da una parte, e del documentario dall’altra, senza ricorrere alla forma ormai comune del “docu-fiction”, ma inventando, architettando, facendo cinema d’autore essenzialmente al montaggio (quando per noi registi il “momento della verità” sono le riprese, il corpo a corpo con gli attori. Mi vengono in mente i collage dei surrealisti e i fotomontaggi politici di John Heartfield...), manipolando materiali impersonali, senza uno stile riconoscibile, emozionanti in sé per il fatto che documentano dei fatti “obiettivamente emozionanti”; immagini, ma anche suoni, musiche, mescolando tutto e pestando, come nel crogiolo di una strega, perché avvenga una trasformazione (o addirittura una trasfigurazione!). Nasca una forma, uno stile. Questa è la sfida. L'autore dovrebbe diventare uno storico e un artista. Storico in quanto interprete e non soltanto cronista dei fatti, artista in quanto creatore di forme nuove, utilizzando immagini di altri, che hanno girato magari con grande partecipazione personale, ma coll’obbligo professionale di limitarsi a documentare un fatto, catturarlo il più visibilmente possibile (la maggiore difficoltà è che qualche volta si riescono a scoprire materiali straordinari, ma montati secondo dei criteri di totale insensibilità non dico alla bellezza ma a un elementare, tradizionale ordine estetico. Le immagini al puro servizio della voce parlante. Di qui la nostra necessità di ricorrere frequentemente al rallentato, per cercare di allungare il più possibile le emozioni...). Tanti frammenti di tanti sguardi diversi, che si compongono, 2 cui un solo sguardo dà la sua forma. L’aver voluto questa inaugurazione (e aver lottato per averla) ha anche il significato di una mia personale definitiva riconciliazione con il montaggio. E’ davvero finito il tempo della paura di attaccare insieme i vari pezzi, il tempo della paura della dissociazione.
* [[Bambini, ragazzi, strapazzi]] di Maurizio Nichetti
* [[Case cose città]] di Silvio Soldini, Giorgio Garini
* [[Lavorare stanca]] di Wilma Labate
* [[Le parole del cuore]] di Giuseppe Piccioni
* [[Un popolo di poeti]] di Giuseppe Bertolucci
* [[La rovina della patria]] di Marco Tullio Giordana
* [[Sesso, video e realtà]] di Simona Izzo, con la collaborazione di Francesco Venditti
== Ha ballato una sola estate... ==
Abbiamo cercato un'immagine e non un'idea per il titolo di questa rassegna sul ‘68, per non legare la ricerca sulla cinematografia di quegli anni ad un giudizio . Ha ballato una sola estate... è un'immagine che ovviamente nasconde un pensiero, mala cui vaghezza stimola a ricavare un'idea più ricca di umori, di domande, di poesia. Il film di Mattson, completamente dimenticato, propone un'immagine di ragazzetta, legandola al desiderio, alla bellezza, alla giovinezza, ma anche all’impossibilità della sopravvivenza di queste dimensioni umane. Sogno effimero di una notte d'estate... non resisterà alla fine di questa stagione, perchè la norma, la vita reale, quotidiana, sono fatte di un’altra materia. Allora la ragazzetta, come Ifigenia, muore, deve morire, sacrificata al pensiero religioso, per cui è necessario compiere questo rituale, per mantenere saldo il rapporto certo con la realtà. I registi di quegli anni colgono il potere eversivo di questa immagine e la ripropongono in maniera emblematica. Ovviamente già esistevano Giovanna di Dreyer, Lu/ì di Pabst e poi Carmen, Manon, Traviata e un elemento nuovo che vi si lega è senz'altro la ricerca di un superamento della forma narrativa, ovvero la ricerca di una maggiore libertà del linguaggio filmico, per andare verso una destrutturazione della storia e del tempo del racconto. Il tentativo è quello di infrangere la barriera che separa il sonno dalla veglia, il sogno dalla realtà, il pensiero conscio dal pensiero inconscio: sembra maturato il momento, per cui ciò che prima era improponibile, ora è diventato possibile... Dall’euforia di questa sensazione però, non si formano immagini nuove, ma si affacciano sullo schermo sinistre immagini di fallimento: nel prologo di Andrej Rublev (1966) un uomo si solleva dal suolo con un pallone gridando: “volo, volo!”, per schiantarsi a terra poco dopo. Materializzare il sogno, dare corpo all’utopia, fare della rivolta alla norma una prassi quotidiana, questo ciò che viene detto nelle università, scandito nelle piazze, scritto sui muri. Ma allora, perchè ciò che viene rappresentato racconta di una catastrofe senza scampo?... Il tema del suicidio è presente in un’innumerevole schiera di film: da Bresson a Resnais, da Cassavetes a Skolimowski, Godard, Truffaut, Ousmane... Altrimenti la morte giunge dall'esterno, una morte subita, tentata, inseguita: Easy Rider, Zabriskie Point, L'incidente, Rain People, Treni Strettamente sorvegliati... Il sogno si deteriora, si fa irreale, falso, sino a decomporsi e diventare malattia, follia: la maschera aderisce al volto di Morgan che non riesce più a ripercorrere la strada verso se stesso, restando impigliato nella sua fantasticheria. “Il ‘68 mori con il ‘68; la rivoluzione culturale non aveva fatto un bambino. I giovani non erano riusciti a sognare. Addormentati nello stato di veglia scambiarono la realtà per un sogno e, non riuscendo a dormire davvero per aver abbandonato la realtà, scambiarono i sogni con la realtà. Dormienti, ebbero paura della realtà esistente e l’aggredirono senza rifiutarla veramente, insonni, ebbero paura dei sogni e li negarono senza comprenderli”. (M. Fagioli, Le notti dell'isteria). E in questo senso la Storia Immortale di Welles diventa una grande metafora : se non si cerca di far vivere i sogni è la morte, ma se si realizzano è la follia... Il giovane William, ingenuo e “cieco” protagonista de L'Incidente, muore per non saper vedere e rifiutare la complicità fra l’indifferenza di Anna e la fatuità omicida del suo professore. Ne La femme douce, la protagonista scivola nella depressione e si suicida per essersi sottomessa alla freddezza asessuata della ragione. In Vita di Famiglia Bella va incontro al dissolvimento dei confini dell’io, mentre il fratello Witt abbandona qualsiasi ricerca sulla propria identità, per
rassegnarsi all’ineluttabile destino dell’identificazione con il padre.
Quello che colpisce in tutte queste storie è
in fondo la mancanza di idee nuove, origi-
nali, e la sostanziale continuità con il passa
to, con i luoghi comuni di una cultura
millenaria. La follia vista come ritorno allo
stato animale (Morgan...) o come terribile
affermazione di individualità nel processo
rivoluzionario (Marat- Sade); l'impossibilità
di una regressione, foriera di un angoscioso sgretolamento (Je #'z2zze, je #zime); il rischio
mortale che comporta l'emergenza del desiderio (E/wra Madigan); la sconfitta di colofo che tentano una separazione da dimensioni vecchie, distruttive, false (Abschied von
Gestern, If.., Faces)
E se dei pensieri così vecchi alimentano il
cinema di quegli anni, viene immediato pen-
sare che non potevano nascere immagini
nuove, Originali, e che tutt'al più si poteva
giungere alla rappresentazione del già esi-
stente, senza arrivare alla creazione di un
linguaggio che esprimesse veramente una
rottura epistemologica. l registi più geniali
raccontano dell'emergenza storica di una
possibilità umana, qualcosa di latente, di
inespresso che sta affiorando: la fine della
supremazia della ragione, del rapporto
positivistico della realtà, il volgersi alla fan-
tasia umana come immenso patrimonio a
cui attingere, diverso orizzonte evolutivo.
Ma l’immagine nuova non si forma, resta
allo stato di impulso, di vaga intuizione subito negata: lascia il suo posto a una creatura sciancata, un mendicante figlio di un dio
minore che, non avendo raggiunto la fanta-
sia, vaga dubbioso nella terra di nessuno
della fantasticheria, dell’allucinazione, del
delirio.
Pesava sui registi di quegli anni e su tutta
una generazione l'alleanza con un pensiero,
con una cultura che sembrò rivoluzionaria,
originale, ma che in verità impedi loro una
nascita: le idee gonfie di nulla si posarono
leggere sulla loro giovinezza e gli chiusero
le vie del respiro.
Il movimento studentesco a Berkeley, i fer-
menti di rivolta in Cina e in Giappone, il
Maggio francese, l’Ottobre polacco, la Primavera praghese... c'è nel corso degli anni
sessanta (pur con le debite differenze, con-
nesse alla realtà politica di ciascun paese),
una volontà di rottura radicale con il mon-
do dato, una speranza di trasformazione,
affidata alla fantasia, all’immaginazione, allo
slancio individuale e collettivo che 'accompagna al rifiuto dell’esercizio di potere del
maestro sull’allievo, al sovvertimento delle
istituzioni, dei rapporti gerarchici, dei vin-
coli burocratici ed economici, sfida all’im-
possibilità di essere, agire, comunicare, confidando in un'intuizione, in un'energia, piuttosto che in un modello, desiderio di inventare una prassi muova, legata
all’intersoggettività, alla fisicità, alla spon-
tancità espressiva...
Sia che si interpreti il ‘68 come irruzione
della giovinezza sulla scena politico-sociale, “festa nel quotidiano” o rappresentazio-
ne indiretta dell'“assassinio dei padri”, sia
che lo si interpreti come conflitto di classi
[[Categoria:Edizione]]
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Versione delle 11:16, 19 mar 2025

Enti promotori

Associazione cinema dell’Adriatico, Comuni di Bellaria Igea Marina, Cattolica, Rimini

Consiglio di amministrazione

Mauro Conti (Presidente), Mara Garattoni, Pierpaolo Parma

Direttore

Gianfranco Miro Gori

Segretario

Antonio Tolo

Comitato scientifico

Gianfranco Angelucci, Vittorio Boarini, Vincenzo Cerami, Antonio Costa, Alberto Farassino, Giacomo Martini, Morando Morandini

Direttore Artistico

Marco Bellocchio

Coordinamento e relazioni esterne

Angela Leone

Segreteria e amministrazione

Miriam Pozzi

Segreteria e ospitalità

Alessandra Fontemaggi

Documentazione e cataloghi

Giuseppe Ricci con la collaborazione di Marco Leonetti

Segreteria a Cattolica

Simonetta Salvetti

Segreteria a Roma

Veronica Martini

Addetto Stampa

Marzia Milanesi, Barbara Sassano (assistente), Paolo Pagliarani

Servizi tecnici e allestimenti

Edoardo Zangheri, Paolo Tombeni

Grafica e immagine

Enzo Grassi - “Colpo d’Occhio”

Corrispondente dagli Stati Uniti

Giulia D’Agnolo Vallan

Curatori e consulenti

Daniela Ceselli e Francesca Pirani (retrospettiva: 1968 Ha ballato una sola estate, convegno: L'immagine in movimento e il movimento dell'immagine), Alberto Farassino (retrospettiva: L'investigatore privato), Leonardo Gandini (sezione: Scuole di cinema), Enrico Ghezzi (compleanno: Nostra signora dei turchi), Riccardo Giagni (sezione: La musica del cinema), Fabrizio Grosoli (sezione: Anteprime internazionali), Mario Sesti e Dario Buzzolan (sezione: Cinema italiano), Giovanni Spagnoletti e Sergio Toffetti (personale: Robert Bresson)

Presentazione

Locandina Adriatico Cinema, 1998

Il presidente dell’Associazione Cinema dell'Adriatico Mauro Conti.

La Romagna è una terra propizia per il cinema. Vi sono nati registi, sceneggiatori, attori...: Federico Fellini, per esempio, o Tonino Guerra, pochi giorni fa vincitore con Anghelopulos della Palma d’oro a Cannes. Vi si sono realizzati, vi si realizzano film. Vi si sono coltivati, vi si coltivano i “riti” della visione cinematografica: la provincia di Rimini è fra le prime in Italia al botteghino; e in essa, da tempo, si organizzano festival. Anteprima di Bellaria Igea Marina, MystFest di Cattolica e Riminicinema, solo per citare gli ultimi, si sono conquistati uno spazio e un ruolo non secondario né banale tra le manifestazioni simili in Italia e nel mondo; e oggi che non esistono più, essendo confluiti in un evento unico, Adriaticocinema, desidero ringraziare tutti coloro che vi hanno lavorato. Quanto a Adriaticocinema, neonato, mi piace precisare che non si tratta dell’addizione dei tre festival precedenti, né della somma delle tre città (Bellaria Igea Marina, Cattolia e Rimini) che lo hanno fondato. Si tratta bensì di una manifestazione unica e -pur rivendicando le proprie tradizioni- nuova.

Di Marco Bellocchio

Pensando alla conferenza stampa del 6 febbraio mi pare oggi che il programma definitivo di Adriaticocinema sia nella sostanza quello che avevamo annunciato. Un programma in cui la ricerca di nuove forme, di nuovi linguaggi è il corpo centrale del Festival e sarà il principale tema di discussione del convegno sul cinema italiano: “L'immagine in movimento e il movimento dell ‘immagine’. In questo senso abbiamo scelto i film italiani che parteciperanno al concorso, nel rigore che ci eravamo sempre prefissi. (Anche la giuria, composta da critici militanti e molto tendenziosi mi sembra in armonia col criterio di selezione: premiare la bellezza, l'originalità delle immagi- ni, secondo un’indiscutibile sensibilità e competenza). In questo senso ho invitato, fuori concorso il primo film di Massimo Fagioli e in questo senso proponiamo film “invisibili”, cioé film magari già presentati in altri concorsi o usciti anche fuggevolmente nelle sale (0 anche non fuggevolmente, ma che, come l’ultimo di Ciprì e Maresco, il pubblico delle tre città del Festival non avrebbe l'opportunità di vedere), film che sono scomparsi, a cui il Festival, senza illudersi di miracolarli, vuole offrire una nuova visione, di poter riapparire su uno schermo bianco. La perseveranza, la coerenza in arte devono essere riconosciute e premiate pro- prio perché viviamo in un'epoca in cui l’incoerenza, la dissociazione e la futilità sono la regola della vita quotidiana e producono ovviamente, poi, nella maggior parte degli artisti, immagini incoerenti, dissociate, futili... In questo senso presentiamo le retrospettive non integrali di un gruppo di autori nuovi (... Roberta Torre, Pasquale Misuraca, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Eros Puglilli, Bruno Bigomi) che, più o meno appartati, aristocratici, ma fedeli al loro stile, alle loro immagini originali implicitamente si contrappone al cinema dei padri, che più che padroni materiali del cinema italiano si comportano, sono dei “padri paralizzanti” nel senso di impedire o ritardare una vera rinascita. Senza vietare nulla, facendo semplicemente quello che hanno sempre fatto. Mi viene in mente una battuta di Cecov: “Costa: Sono necessarie nuove forme, nuove forme sono necessarie, e se queste mancano allora è meglio che niente sia necessario” (Il Gabbiano, Atto 19.11 prezzo di queste nuove forme in quel caso è il suicidio, per questo credo che, contro una tradizione di romanticismo ormai decomposto, va ricercata una terza via che, rifiutando la mediocrità, eviti l’autodistruzione. Il prezzo della ribellione del 68 è ancora il suicidio del 68. Per citare la rassegna “Ho ballato una sola estate”, curata da Daniela Ceselli e Francesca Pirani, che appunto indagando prevalentemente sui film che hanno preparato il 68 individua in essi una costante suicida. Il suicidio immanente al 68. Manon voglio ricordare tutto il programma sarebbe una fatica inutile per chi legge, il catalogo è fatto per questo e basta guardare l'indice. Non posso tuttavia non accennare a tre eventi, magari non particolarmente clamorosi, ma molto qualificanti e cioè il Festival delle scuole di cinema, il Convegno sull’appena riformato CSC diventato SNC, e la partecipazione di Adriaticocinema alla produzione di due cortometraggi di due allieve della Scuola Nazionale di Cinema e a un corto di Matteo Garrone, attività assolutamente da potenziare per un festival che vuole essere attivo, partecipante alla vita del cinema italiano. Una parola infine sulla libertà di espressione di questo Festival e cioè di poter divagare, sconfinare in altre forme dell’arte e non necessariamente complementari al cinema. La musica, il teatro, la danza, la pittura, l’architettura... Questo per- ché non è possibile che chi “sente” il cinema sia sordo alla musica o al teatro, può essere incompetente, ma la sensibilità non è a compartimenti stagni, reagisce a tutte le espressioni d’arte quando sono vere e profonde, e poi perché lo spazio del festival, distribuito su tre città, può rispondere naturalmente a una rappresentazione globale, come sei film, i concerti, le lezioni fossero le diverse immagini di un unico movimento, di un unico teatro che si sposta continuamente da un luogo all’altro, nel tempo, secondo la luce del giorno o il buio della notte.

Concorso Adriaticocinema

Concorso La calma

Di Daniela Ceselli e Francesca Pirani.

Il tema della calma è una sfida alla sensibilità degli autori, proprio per il carattere peculiare di questo affetto: un comportamento pacato, tranquillo può essere scambiato per calma, ma in verità molto più frequentemente si tratta di indifferenza. Quindi abbiamo proposto agli autori dei cortometraggi di non fermarsi alla fenomenologia ed al comportamento, e di Spingersi nei territori del latente, per svelare il contenuto più profondo che si nasconde dietro ii gesti, gli sguardi, le parole. Calma quindi, intesa non come controllo delle proprie passioni, maschera ingannevole, assetto indifferente e manierato di chi non ha in verità affetti e sentimenti forti, ma invece, calma intesa come dimensione di certezza, di pienezza, di mancanza di angoscia di fronte alle cose della vita. Catturare l’essenza di questo affetto e rappresentarlo, pone senz'altro gli autori davanti al cimento di andare oltre il visibile, sollecitandoli ad affrontare una ricerca artistica per cogliere l’immagine nascosta che riveli questa misteriosa qualità umana.

I titoli del concorso

  • Alice di Daniela Panfili, Elisa Vannini, Francesca Lucchetta, Lavinia Mandolini
  • Ali di farfalla di Marcello Benvenuti e Paolo Matassini
  • All you need is... di Luciano Monti
  • L'amico Terry di Maurizio Failla
  • A pruvatu mai? di Moni Giardina e Riccardo Sgalambro
  • Attimi di Stefano Salvatori
  • Bicho Preguira di Alberto Di Cintio e Hugo Lucini
  • Buon vicinato di Giorgio Longo e Carlo Gianneschi
  • Butoh di Uccio Pazienza
  • La calma a cura di C. Bellesia, C. Calzolari, S. Collina, C. Martini, N. Tartarughi, G. Toschi
  • La calma di Cristian Comand
  • La calma di Daniele Santurro
  • La calma di Elio Deponti e Luca Pelliconi
  • La calma di Emanuele Miceli
  • La calma di Flavio Moretti
  • La calma di Luigi Cecchetti
  • Calma di Raffaele Luponio (coordinatore degli allievi)
  • La calma di Serena Ferrara
  • La calma di Vanni Vallino
  • La calma... e il suo segreto di Giorgio Fipaldini
  • La calma: psicogenesi di Stefano Giottoli e Marco Riva
  • La candela di Lauro Crociani
  • Calma non calma di Romano Guelfi
  • Calma plastica di Giulio De Andreis e Antongiulio Panizzi
  • Calmati! a cura del gruppo “Jarmush” (Jessica Ansalone)
  • Calmo... universi di movimenti di Alfonso Cioce
  • Campestre di Claudio Di Giorgio
  • Caterina di Enzo Ferrara e Daniela Panfili
  • Celebrazione di Monica Petracci
  • Cogito ergo bum di Paolo Rossetti
  • Con calma io da sola di Luciano Galluzzi
  • Con calma. Luogo comune di Simona Zara
  • Con sigara...e senza di Paolo Taddei
  • Confine di Mario Catto
  • Confini di Giuseppe Bazzocchi
  • Da lontano di Vito Amodio
  • Da un anno poco più di Gianluca Stuard
  • Dal bel seren de le tranquille ciglia... di Alfredo Mastrogiovanni
  • Deconstructing coffee di Manuel Frara
  • 2 di Daniele Carrer
  • :- (| (due punti, segno meno, aperta parentesi) di Adriano Mestichella e Nicola Poddighe
  • I due re di Alberto Comandini
  • Ecco, adesso di Simone Massi
  • Echolalia di Massimiliano Nuzzolo
  • Entro mezzogiorno di Domenica e Maria Di Mario
  • Finale di partita di Ja'nnis Kakara's
  • Il finalista di Bruno Memoli
  • Finalmente calmo di Marcello Gori
  • Fiore di guerra di Sandro Vasini
  • Fuoco di fila di Antonio Mora
  • In aprile di Simone Massi
  • In assenza di vento di Stefano Guccini
  • In giro di Alessandro Ingargiola
  • Invernale di Maria Rosa e Marino Rore
  • Io sto bene e spero anche di voi di Philippe Chabert
  • Keep on! Keepin' on! di Simone Massi
  • Laura di Primo Giroldini
  • La lettera di Alessandro Ingargiola
  • Le mani di Penelope di Giuseppe Guastella
  • Una mattina di Daniele Ravaglia
  • Il mondo subacqueo di Davide Zagnoli
  • My heart nil go on a cura di S. Tugnoli, L. Amitrano, E. Mezzetti, S. Landi, F. Tavernari, M. Maldotti
  • Niente di Simone Massi
  • Una noia dolente da speranze crudeli di Alessandro Zanchini
  • Non perdere la calma... scappa a cura del gruppo “Mainposa” (Gianni Gozzoli)
  • Norma di Giacomo D'Agostino
  • Nuala di Ezio Romano
  • Pansa di Nicola Scorza e Michele De Virgilio
  • I performanti di Rinaldo Rivarola
  • Il placidista di Andrea Pavone
  • Portatori di calma di Andrea Taqui Fanelli
  • Primo paragrafo di Francesco Asaro
  • Psicopatic di Fulvio Pisani e Federico Bona
  • La quiete di Cravo di Alessio Fattori
  • Quipu di Rosario Compare
  • Ramificazioni di Silvia Di Domenico
  • Il rumore della mano destra di Andrea Bolioli
  • Rumori di fondo di Gianbattista Pini
  • Se mi vuoi chiamami questa sera di Rocco Ministeri
  • Segnali dalla galassia di Marco Pitrone
  • 1600 giorni di Anna di Enrico Venditti
  • Senza titolo di Roberto Baratti
  • Sfida a S. Polo di Giancarlo Dini
  • Soli di Domenico Mirdaca
  • Solitudo di Luciano Monti
  • Soste di Fabio Fiandrini
  • Stimoli di Sabrina Santi
  • Stress di Maurizio Maliore
  • Il tempo vola di Silvana Martina
  • Terza ora educazione artistica di Andrea Lato
  • Il titolo è alla fine di Fulvio Calderoni, Bruno
  • Pisano e Alessandro Talamo
  • Tra i due litiganti (la calma è la virtù dei forti) di Gianluigi G. Giorgiola
  • Tunnel di Adelio Gregori e Romano Usa
  • L'ultimo della serie di Gianmarco Mastore e Armando Meroni
  • L'uomo nero di Danilo Ramirez
  • Underground di Daniele Marcovecchio
  • Water power di Alessandra Bergero
  • Waterline di Guglielmo Finazzer
  • Yes & not di Werther Germondari e Michele Sanzò

Concorso Immagina la musica

Di Gino Castaldo

Chiedere ai lettori di mettersi a realizzare un proprio videoclip ideale, adattandolo a qualsiasi musica desiderassero, c'era sembrata una sfida divertente, ma piuttosto difficile. In fondo si trattava di pensare, di avere un'idea, di avere a disposizione mezzi tecnici non proprio irraggiungibili, ma comunque non automatici. Ci dicemmo: se ne arrivano trenta 0 quaranta è già un successo. Bene, ne sono arrivati più di duecentocinquanta e abbiamo visto crescere il mucchio di videocassette in redazione con crescente stupore. Ci siamo accorti che il richiamo funzionava molto oltre le nostre riduttive aspettative. E’ perfino banale dirlo, ma tanti anni di stralunati e fantasiosi abbinamenti tra musica e immagine, hanno diffuso capillarmente il germe di un linguaggio nuovo. Non musica applicata, o effetti visivi applicati all'immagine, ma di fatto un nuovo piano linguistico la cui unità potrebbe essere una immaginaria sillaba allo stesso tempo sonora e visiva. Vedremo in futuro dove porterà tutto questo. Per ora abbiamo una folta rappresentanza di una passione fai-da-te che cresce e serpeggia ai margini della grande industria. Da raccogliere e valutare...

Concorso Scuole di Cinema

Anteprima

Prime visioni

Alfabeto italiano

Da un'idea di Beppe Attene e Beppe Sangiorgi, realizzato con materiale d’archivio della cineteca Rai in collaborazione con la Làntia Cinema & Audiovisivi

Di Marco Bellocchio

Inaugurare il Festival con Alfabeto Italiano ha il significato di proporre dei film prima di tutto di autori italiani molto personali, che operano uno “sfondamento” dei confini, dei canoni abbastanza rigidi dei film a soggetto (la storia secondo la drammaturgia sofoclea) da una parte, e del documentario dall’altra, senza ricorrere alla forma ormai comune del “docu-fiction”, ma inventando, architettando, facendo cinema d’autore essenzialmente al montaggio (quando per noi registi il “momento della verità” sono le riprese, il corpo a corpo con gli attori. Mi vengono in mente i collage dei surrealisti e i fotomontaggi politici di John Heartfield...), manipolando materiali impersonali, senza uno stile riconoscibile, emozionanti in sé per il fatto che documentano dei fatti “obiettivamente emozionanti”; immagini, ma anche suoni, musiche, mescolando tutto e pestando, come nel crogiolo di una strega, perché avvenga una trasformazione (o addirittura una trasfigurazione!). Nasca una forma, uno stile. Questa è la sfida. L'autore dovrebbe diventare uno storico e un artista. Storico in quanto interprete e non soltanto cronista dei fatti, artista in quanto creatore di forme nuove, utilizzando immagini di altri, che hanno girato magari con grande partecipazione personale, ma coll’obbligo professionale di limitarsi a documentare un fatto, catturarlo il più visibilmente possibile (la maggiore difficoltà è che qualche volta si riescono a scoprire materiali straordinari, ma montati secondo dei criteri di totale insensibilità non dico alla bellezza ma a un elementare, tradizionale ordine estetico. Le immagini al puro servizio della voce parlante. Di qui la nostra necessità di ricorrere frequentemente al rallentato, per cercare di allungare il più possibile le emozioni...). Tanti frammenti di tanti sguardi diversi, che si compongono, 2 cui un solo sguardo dà la sua forma. L’aver voluto questa inaugurazione (e aver lottato per averla) ha anche il significato di una mia personale definitiva riconciliazione con il montaggio. E’ davvero finito il tempo della paura di attaccare insieme i vari pezzi, il tempo della paura della dissociazione.

Ha ballato una sola estate...

Abbiamo cercato un'immagine e non un'idea per il titolo di questa rassegna sul ‘68, per non legare la ricerca sulla cinematografia di quegli anni ad un giudizio . Ha ballato una sola estate... è un'immagine che ovviamente nasconde un pensiero, mala cui vaghezza stimola a ricavare un'idea più ricca di umori, di domande, di poesia. Il film di Mattson, completamente dimenticato, propone un'immagine di ragazzetta, legandola al desiderio, alla bellezza, alla giovinezza, ma anche all’impossibilità della sopravvivenza di queste dimensioni umane. Sogno effimero di una notte d'estate... non resisterà alla fine di questa stagione, perchè la norma, la vita reale, quotidiana, sono fatte di un’altra materia. Allora la ragazzetta, come Ifigenia, muore, deve morire, sacrificata al pensiero religioso, per cui è necessario compiere questo rituale, per mantenere saldo il rapporto certo con la realtà. I registi di quegli anni colgono il potere eversivo di questa immagine e la ripropongono in maniera emblematica. Ovviamente già esistevano Giovanna di Dreyer, Lu/ì di Pabst e poi Carmen, Manon, Traviata e un elemento nuovo che vi si lega è senz'altro la ricerca di un superamento della forma narrativa, ovvero la ricerca di una maggiore libertà del linguaggio filmico, per andare verso una destrutturazione della storia e del tempo del racconto. Il tentativo è quello di infrangere la barriera che separa il sonno dalla veglia, il sogno dalla realtà, il pensiero conscio dal pensiero inconscio: sembra maturato il momento, per cui ciò che prima era improponibile, ora è diventato possibile... Dall’euforia di questa sensazione però, non si formano immagini nuove, ma si affacciano sullo schermo sinistre immagini di fallimento: nel prologo di Andrej Rublev (1966) un uomo si solleva dal suolo con un pallone gridando: “volo, volo!”, per schiantarsi a terra poco dopo. Materializzare il sogno, dare corpo all’utopia, fare della rivolta alla norma una prassi quotidiana, questo ciò che viene detto nelle università, scandito nelle piazze, scritto sui muri. Ma allora, perchè ciò che viene rappresentato racconta di una catastrofe senza scampo?... Il tema del suicidio è presente in un’innumerevole schiera di film: da Bresson a Resnais, da Cassavetes a Skolimowski, Godard, Truffaut, Ousmane... Altrimenti la morte giunge dall'esterno, una morte subita, tentata, inseguita: Easy Rider, Zabriskie Point, L'incidente, Rain People, Treni Strettamente sorvegliati... Il sogno si deteriora, si fa irreale, falso, sino a decomporsi e diventare malattia, follia: la maschera aderisce al volto di Morgan che non riesce più a ripercorrere la strada verso se stesso, restando impigliato nella sua fantasticheria. “Il ‘68 mori con il ‘68; la rivoluzione culturale non aveva fatto un bambino. I giovani non erano riusciti a sognare. Addormentati nello stato di veglia scambiarono la realtà per un sogno e, non riuscendo a dormire davvero per aver abbandonato la realtà, scambiarono i sogni con la realtà. Dormienti, ebbero paura della realtà esistente e l’aggredirono senza rifiutarla veramente, insonni, ebbero paura dei sogni e li negarono senza comprenderli”. (M. Fagioli, Le notti dell'isteria). E in questo senso la Storia Immortale di Welles diventa una grande metafora : se non si cerca di far vivere i sogni è la morte, ma se si realizzano è la follia... Il giovane William, ingenuo e “cieco” protagonista de L'Incidente, muore per non saper vedere e rifiutare la complicità fra l’indifferenza di Anna e la fatuità omicida del suo professore. Ne La femme douce, la protagonista scivola nella depressione e si suicida per essersi sottomessa alla freddezza asessuata della ragione. In Vita di Famiglia Bella va incontro al dissolvimento dei confini dell’io, mentre il fratello Witt abbandona qualsiasi ricerca sulla propria identità, per

rassegnarsi all’ineluttabile destino dell’identificazione con il padre.

Quello che colpisce in tutte queste storie è

in fondo la mancanza di idee nuove, origi-

nali, e la sostanziale continuità con il passa

to, con i luoghi comuni di una cultura

millenaria. La follia vista come ritorno allo

stato animale (Morgan...) o come terribile

affermazione di individualità nel processo

rivoluzionario (Marat- Sade); l'impossibilità

di una regressione, foriera di un angoscioso sgretolamento (Je #'z2zze, je #zime); il rischio

mortale che comporta l'emergenza del desiderio (E/wra Madigan); la sconfitta di colofo che tentano una separazione da dimensioni vecchie, distruttive, false (Abschied von

Gestern, If.., Faces)

E se dei pensieri così vecchi alimentano il

cinema di quegli anni, viene immediato pen-

sare che non potevano nascere immagini

nuove, Originali, e che tutt'al più si poteva

giungere alla rappresentazione del già esi-

stente, senza arrivare alla creazione di un

linguaggio che esprimesse veramente una

rottura epistemologica. l registi più geniali

raccontano dell'emergenza storica di una

possibilità umana, qualcosa di latente, di

inespresso che sta affiorando: la fine della

supremazia della ragione, del rapporto

positivistico della realtà, il volgersi alla fan-

tasia umana come immenso patrimonio a

cui attingere, diverso orizzonte evolutivo.

Ma l’immagine nuova non si forma, resta

allo stato di impulso, di vaga intuizione subito negata: lascia il suo posto a una creatura sciancata, un mendicante figlio di un dio

minore che, non avendo raggiunto la fanta-

sia, vaga dubbioso nella terra di nessuno

della fantasticheria, dell’allucinazione, del

delirio.

Pesava sui registi di quegli anni e su tutta

una generazione l'alleanza con un pensiero,

con una cultura che sembrò rivoluzionaria,

originale, ma che in verità impedi loro una

nascita: le idee gonfie di nulla si posarono

leggere sulla loro giovinezza e gli chiusero

le vie del respiro.

Il movimento studentesco a Berkeley, i fer-

menti di rivolta in Cina e in Giappone, il

Maggio francese, l’Ottobre polacco, la Primavera praghese... c'è nel corso degli anni

sessanta (pur con le debite differenze, con-

nesse alla realtà politica di ciascun paese),

una volontà di rottura radicale con il mon-

do dato, una speranza di trasformazione,

affidata alla fantasia, all’immaginazione, allo

slancio individuale e collettivo che 'accompagna al rifiuto dell’esercizio di potere del

maestro sull’allievo, al sovvertimento delle

istituzioni, dei rapporti gerarchici, dei vin-

coli burocratici ed economici, sfida all’im-

possibilità di essere, agire, comunicare, confidando in un'intuizione, in un'energia, piuttosto che in un modello, desiderio di inventare una prassi muova, legata

all’intersoggettività, alla fisicità, alla spon-

tancità espressiva...

Sia che si interpreti il ‘68 come irruzione

della giovinezza sulla scena politico-sociale, “festa nel quotidiano” o rappresentazio-

ne indiretta dell'“assassinio dei padri”, sia

che lo si interpreti come conflitto di classi